Teatrino politico
Il sequel grottesco delle inverosimili sceneggiate tra allevatori di polli
(Locations abituali: Presidenza della Repubblica,
Parlamento, Governo, Radio-Tv, Giornali, Centri di potere)
L'old fashion della imposta patrimoniale per
un Paese a democrazia avanzata
Da "La Stampa": LUCA RICOLFI: Il
malgoverno pagato sempre dai cittadini
Si torna a parlare di una patrimoniale, ma le proposte sul tappeto
sono almeno quattro.
In principio fu Giuliano Amato.La
sua idea era semplice: abbattiamo il debito pubblico di un terzo (600
miliardi di euro, su 1800), colpendo solo il ceto medio-superiore, ovvero il
terzo più ricco degli italiani, con un’imposta media di 75 mila euro a
famiglia.
Poi venne il banchiere Pellegrino
Capaldo, anche lui - riferiscono i giornali - vicino al
centro-sinistra, con la proposta-monstre di prelevare qualcosa come 900
miliardi di euro (metà del debito, più di metà del Pil), questa volta però
molto democraticamente spalmati su tutti i possessori di immobili: il che fa
«solo» 50 mila euro a famiglia.
Poi venne Walter Veltroni, che
nel discorso del Lingotto riprese la proposta Amato, immaginando un governo
di illuminati che - forte di altre misure di contenimento del deficit -
chiedesse «al decimo più fortunato degli italiani» di aiutare il governo
stesso a «far scendere il debito in modo rapido verso dimensioni più
rassicuranti». L’idea era di abbattere il debito di 600 miliardi (proposta
Amato), ma con due importanti varianti: colpendo solo i ricchi (il 10% di
«fortunati»), e ricorrendo anche ad altre misure. Immaginando una
patrimoniale che incidesse «solo» per 200 miliardi (anziché per 900 o 600,
come nelle proposte Amato-Capaldi), farebbe 80 mila euro a famiglia.
E infine (nei giorni scorsi) venne
Pietro Ichino, che ci assicurò che la patrimoniale di Veltroni è
solo una delle misure per abbattere il debito (le altre sono: dismissioni
del patrimonio pubblico e tagli draconiani di spesa), e che quanto
all’importo ci si poteva accontentare di 30-40 miliardi in 2 anni,
concentrati su 2,5 milioni di famiglie ricche. Come dire una patrimoniale
che «fa il solletico» al debito, visto che 30-40 miliardi lo limerebbero del
2%.
In breve: Capaldo vuole colpire tutti i possessori di case (80% degli
italiani), Amato solo il ceto medio-superiore (33% degli italiani), Veltroni
solo i «ricchi» (10% degli italiani). Non voglio qui entrare nel merito
della giustezza o praticabilità di questo genere di proposte, su cui sono
già intervenuti criticamente molti autorevoli osservatori, fra cui Franco
Debenedetti, Dario Di Vico, Francesco Forte, Gilberto Muraro, Alessandro
Penati, Michele Salvati. Il tema che vorrei sollevare è, per così dire,
anteriore a ogni discussione di merito. E consiste in una semplice domanda:
che cosa pensa realmente il Pd, visto che Veltroni e Ichino ne fanno parte,
e Amato è una delle principali personalità del centro-sinistra?
Pierluigi Bersani, Enrico Letta e Stefano Fassina, responsabile
economico del Pd, si sono già precipitati a dissociarsi dalla
proposta di imposta patrimoniale. Probabilmente si rendono conto che il solo
usare la parola «patrimoniale» è il più straordinario assist che si possa
fare a un Berlusconi in difficoltà sul caso Ruby. Una campagna elettorale
contro «i comunisti che ci vogliono espropriare» è il più bel regalo che il
Cavaliere potesse sperare dall’opposizione. Che, puntualmente, appena si
sono delineate le elezioni anticipate, glielo ha offerto su un piatto
d’argento.
E tuttavia ormai il problema di Bersani non è smentire, ma convincere. Non è
chiarire, ma farlo in modo credibile. Perché ci sono due piccoli problemi di
logica. Problema numero uno: come fa il Pd a dire che non vuole la
patrimoniale, quando la sostengono con tanta convinzione esponenti così
importanti del partito?
Si dirà che sono voci individuali, e su un problema così delicato conta solo
la voce del segretario Pierluigi Bersani. Ma proprio qui interviene il
secondo problema. Bersani si è già espresso a favore della patrimoniale
almeno in due occasioni. Una prima volta un anno e mezzo fa, in un convegno
dei Giovani di Confindustria, quando correva per diventare segretario del
Pd; e una seconda volta un paio di settimane fa, in occasione del Lingotto
2, il grande raduno dei veltroniani a Torino. E’ lì che Veltroni fece sua
l’idea di una patrimoniale sugli «italiani più fortunati», ed è lì che
Bersani pronunciò la storica frase: «Nemmeno un Nobel riuscirebbe a trovare
la differenza fra di noi».
Adesso quella differenza negata rischia di essere fin troppo visibile, o di
sparire senza convincere. Perché il problema della sinistra è sempre quello.
Con la nobile giustificazione che «fra noi si discute e si dibatte» non si
capisce mai su che cosa i suoi leader siano davvero d’accordo, e su che cosa
siano irrimediabilmente in disaccordo. Un male che ora, proprio sulla
patrimoniale, si sta estendendo anche alle forze del nascente Terzo polo,
con dichiarazioni che si suddividono equamente in favorevoli, contrarie,
imbarazzate.
E’ una situazione avvilente, soprattutto per chi vorrebbe voltare pagina.
Nel momento in cui la stella di Berlusconi declina, e in molti sentono
l’esigenza di un cambiamento, il principale partito della sinistra si infila
nella serie peggiore possibile di mosse autolesioniste. Prima salta sul caso
Ruby con una veemenza che non aveva mostrato su temi ben più cruciali per la
vita dei cittadini. Poi, quando finalmente qualcuno prova a toccare temi
concreti, ripropone la più scivolosa, discutibile, controversa fra le misure
di risanamento possibili. Una misura che, se anche fosse equa, sacrosanta,
efficace (cosa di cui è più che lecito dubitare), inevitabilmente suscita
nell’elettore la domanda: ma come, è da trenta anni che tutti, destra,
sinistra e centro, dilapidate le risorse del Paese per conquistare voti e
clientele, e ora chiedete a noi di riparare il disastro che avete provocato?
Su questo ha ragione Pietro Ichino. Sensata o insensata che sia, un’imposta
patrimoniale straordinaria - che scarica sulle famiglie i debiti dello Stato
- può permettersi di chiederla solo un governo che, prima, abbia fatto fino
in fondo la sua parte, interrompendo risolutamente quel cammino di
dissipazione del denaro pubblico che ci ha portati all’attuale disastro.
Da "Il Sole 24ore": LUCA OSTELLINO:
Berlusconi, no alla patrimoniale old fashion
Mettendo per un momento da parte le vicende Ruby e co., Berlusconi
entra nel dibattito sulla possibilità di introdurre un'imposta patrimoniale
e sulle proposte avanzate da Giuliano Amato e Pellegrino Capaldo. Ipotesi
che con il suo esecutivo non vedranno la luce, dal momento che il premier ha
già detto più volte di essere contrario a misure di questo tipo e ieri lo ha
ribadito nettamente, in sintonia con la linea del presidente di
Confindustria Emma Marcegaglia, che ha precisato di non condividere né la
proposta di Capaldo (una sorta di "privatizzazione" del debito pubblico) né
l'idea di una patrimoniale, indicando nella vendita di una parte del
patrimonio pubblico una strada perseguibile per la riduzione del debito
pubblico. «Una imposta patrimoniale – sostiene Berlusconi – con il livello
abnorme di pressione fiscale che si registra in Europa e in Italia, con i
formidabili ostacoli che si frappongono alla crescita, sarebbe la via più
breve per deprimere gli investimenti, mettere in fuga i capitali, impedire
le riforme, riaccendere la corsa alla spesa pubblica improduttiva e alla
creazione di nuovo debito». La ricetta che il Cavaliere propone, non da
oggi, dovrebbe caratterizzare l'azione di governo per il resto della
legislatura.
«Bisogna – avverte il presidente
del consiglio – fare esattamente il contrario:
liberalizzare, privatizzare,
riformare e incentivare la crescita dell'occupazione qualificata,
della spesa per infrastrutture,
dell'istruzione e della ricerca».
Un avvertimento lanciato in particolare al Partito democratico e al terzo
polo, che se ...
«si lasciassero lusingare da
questa cultura
old fashion !?
si impiccherebbero all'eterno
ritorno dell'identico,
metterebbero in luce vecchiume
e paralisi intellettuale e strategica»
.
L'opinione di Hominibus
In un ordinamento sociale, degno di questo nome,
non si potrebbero sopportare le scemenze sopra
esposte
da politici di lungo corso, teste lucide di varie
estrazioni del sapere,
in cui latita un minimo di rigore logico a
sostegno di un dire
che nasconde solo una riserva mentale disonesta.
Perché non si spiega altrimenti come a nessuno
tra gli insigni nomi sopra citati venga
spontaneo il tentare
di individuare una soluzione che seriamente possa
essere assunta
contro lo scempio sociale provocato d un sistema
fiscale
che difende la ricchezza comunque acquisita.
Questa voglia del colpire a casaccio, qua e là,
esercitandosi a brandire misure accidentali e
provvisorie,
senza dimostrare alcun interesse a risolvere
l'origine del disastro
che porterebbe a scoprire la corrispondenza di
uno Stato
con un condominio, tra esseri di pari dignità,
dove non si indaga su quanto guadagnano
i signori dell'attico e super-attico, né i
signori del sottoscala,
né ci s'arrovella di promuovere maggiore
benessere di questi ultimi
perché già l'ottimo regolamento condominiale
provvede a ciò
ripartendo le spese con
criteri
old fashion,
Superata la ripartizione delle spese comuni,
che comprendono la difesa, la sicurezza,
l'ordine, la giustizia,
lo Stato deve assicurare condizioni e servizi
eccedenti il condominio,
come..
"liberalizzare, privatizzare,
riformare e incentivare la crescita dell'occupazione qualificata,
della spesa per
infrastrutture, dell'istruzione e della ricerca"
che possono ancora essere finanziati ripartendone il carico
con lo stesso ottimo criterio "old fashion"
per le strutture base dei servizi aggiuntivi,
perché definiscono il livello qualitativo assicurato alla
società,
rimandando la copertura del complemento di spesa mediante tasse
a carico dei cittadini che ne usano e sfruttano le opportunità,
con specifica agevolazione per i più poveri.
Ma forse sono ormai suggerimenti inutili per il governo del
facocero alfa
che ormai sembra fuori gioco anche con la sua avversione
viscerale
al fiscalismo patrimoniale ed al rendiconto personale, poiché ...
Da Tiscali: Giovedi 3 Feb 15:48 |

La Bicamerale boccia il federalismo. Il Pdl:
niente voto, il governo va avanti
In Commissione finisce con un
pareggio: 15 a 15.
Baldassarri (Fli) vota contro: meno
autonomia per i Comuni e rischio di un aumento
della pressione. La Loggia: il decreto va
avanti. Vertice fra Berlusconi, Bossi e
Tremonti. Bersani: ci si fermi. Borghezio: ora
si vada alle urne.
Governo a rischio?
(Si spera, finalmente!)
La convinzione di Hominibus:
"Un
fisco onesto, efficace, efficiente, equamente partecipativo,
in una
società semplice, liberale, laboriosa, ma fiscalmente mercantile,
capace
di ridurre la solidarietà perché ne rimuove la principale causa...
cioé
l'pocrisia del potere, spesso sotto le vesti di premuroso
patrocinio!"
Roma, 3 Febbraio 2011,
16:05
Hominibus
Movimento di
opinione per la costruzione di una società onesta,
che riconosca finalmente
i diritti della maggioranza delle popolazioni mondiali,
vessate da politiche
vergognosamente favorevoli alle classi benestanti, sempre
peggio rappresentate.