Teatrino politico
Il sequel grottesco delle inverosimili sceneggiate tra allevatori di polli
(Locations abituali: Presidenza della Repubblica, Parlamento, Governo, Radio-Tv, Giornali, Centri di potere)
 
I politici hanno una caratteristica costante: LA 'COCCIA DURA'
 

Il documento di Walter Veltroni!!!

Venerdí 17.09.2010 16:08
Ecco la versione integrale del documento, che è diviso in sette 'capitoli'.
(.... attenti allo sbadiglio dopo i primi 2/3 'capitoli')

1.
La crisi politica del centrodestra e' arrivata ad un punto di non ritorno. Dopo la rottura del Pdl, Berlusconi ha davanti a se' due strade: aprire la crisi di governo e invocare le elezioni, al caro prezzo di dover ammettere il fallimento politico della piu' consistente maggioranza parlamentare della storia della Repubblica; o tenere in piedi il governo e la legislatura, ma al prezzo non meno alto di legittimare la presenza determinante, nella coalizione di centrodestra, di una forza e una leadership che si collocano in modo esplicito su una linea politicamente e culturalmente autonoma.
Qualunque sara' la scelta, e' chiaro che si va concludendo un ciclo storico, quello segnato dall'egemonia sul centrodestra e sul Paese del populismo berlusconiano, che ha dimostrato in questi anni una indiscutibile capacita' di rappresentanza di una parte larga e tendenzialmente maggioritaria della societa' italiana, ma non e' riuscito a trasformarla in azione di governo all'altezza dei problemi del Paese, adeguata ad affrontare in modo risolutivo i nodi che ostacolano lo sviluppo dell'Italia.
La crisi politica del centrodestra e' dunque una crisi strategica: e' il fallimento di un modello che ha preteso di governare il Paese preferendo la delega carismatica alla responsabilita' condivisa, la facile popolarita' dei demagoghi al rischio dell'impopolarita' degli statisti, la ricerca dei motivi di divisione del Paese, compresi i piu' artificiosi, alla ricomposizione delle sue fratture reali, l'elogio dei suoi vizi ancestrali alla promozione delle sue virtu' civili, fino alla concentrazione illiberale del potere - politico, economico, mediatico - che ha preso il posto della divisione dei poteri, fondamento di ogni democrazia liberale. Un potere tanto prepotente nella sua pretesa insindacabilita', quanto impotente dinanzi ai problemi dell'Italia, che sono stati abilmente agitati a fini di consenso, senza mai riuscire ad utilizzare il consenso per affrontarli in modo risoluto.
La crisi politica del centrodestra ha reso evidente come un simile modello possa nutrire l'ambizione di vincere la competizione elettorale, ma non assicurare la capacita' di governare in modo stabile, credibile, affidabile una societa' plurale, articolata e complessa come la nostra e tanto meno la capacita' di organizzare un programma di riforme adeguato alle necessita' dell'Italia di oggi. Il fallimento del berlusconismo ha insomma dimostrato ancora una volta che il populismo e' l'antitesi, la negazione dell'innovazione e del riformismo.
Berlusconi deve prendere atto di avere fallito e di avere tradito la fiducia che gli elettori avevano riposto nella sua proposta politica. E chi ha fallito non puo' pretendere di determinare il corso degli eventi, tanto meno puo' rivendicare il diritto di precipitare il Paese in uno scontro elettorale trasformato in un'ordalia pro o contro di lui.

2.
Il problema e' che l'Italia ha piu' che mai bisogno di riforme, coraggiose e profonde. Perche', anche se sul piano congiunturale non sembrano esserci motivi di allarme immediato per la tenuta finanziaria ed economica del Paese, dal punto di vista strutturale permangono e si sono anzi aggravate ragioni di seria preoccupazione.
La prima e' il debito pubblico: negli ultimi 10 anni, otto dei quali affidati alle cure del centrodestra e del tandem Berlusconi-Tremonti, la spesa pubblica corrente primaria e' aumentata al ritmo del 4,6 per cento l'anno, mentre l'avanzo primario si e' azzerato. Il debito e' quindi tornato al livello raggiunto a meta' degli anni '90, prima che iniziasse la vittoriosa corsa verso l'Euro.
La seconda ragione di preoccupazione e' la caduta verticale della produttivita': stagnante da piu' di quindici anni, nel 2009 la produttivita' del lavoro e' tornata ai livelli del 1996. Mentre la produttivita' totale (che considera la quota di crescita ascrivibile a fattori quali il progresso tecnologico, la qualita' del capitale umano, le prestazioni della pubblica amministrazione) e' regredita al livello gia' raggiunto nel 1993.
E' come dire che, come italiani, abbiamo mancato tutti e due gli impegni che avevamo assunto con noi stessi e con gli altri europei all'atto dell'ingresso nell'Euro: rientrare dal debito, facendo ogni anno avanzo primario; e imparare a competere sui mercati con la produttivita', l'efficienza, la qualita', avendo rinunciato all'uscita di sicurezza della svalutazione.
Il fallimento di entrambi questi obiettivi ha invece prodotto una seria caduta di competitivita': tra il '96 ed oggi, la bilancia delle partite correnti con l'estero e' peggiorata di sette punti, da un attivo del 3,5 del pil a un passivo del 3,5 previsto dall'Ocse per il 2011, a riprova che il Paese domanda costantemente, ormai, piu' di quello che produce. E poiche' il reddito pro-capite, al netto dell'inflazione, puo' crescere solo se aumenta la produttivita', la tendenza in atto e' gravida di conseguenze negative per il livello di vita delle famiglie e in particolare per le prospettive dei giovani.
Il terzo motivo di seria preoccupazione per il presente e il futuro dell'Italia e' la crescente disuguaglianza. La distanza che c'e' in Italia tra chi ha troppo e chi ha troppo poco e' tra le piu' grandi dei paesi Ocse: piu' diseguali di noi sono solo gli Usa, che pero' presentano una mobilita' sociale a noi sconosciuta, e poi la Turchia, la Polonia e il Messico. E, cio' che e' piu' grave, la nostra enorme spesa pubblica (52 per cento del pil) riesce appena a scalfire gli effetti di disuguaglianza prodotti dal mercato, che sono invece drasticamente abbattuti dalla pari spesa pubblica di altri Paesi europei.
La malattia del nostro sistema-paese si comincia a cogliere nelle sue conseguenze piu' gravi, se si esaminano le dolorose fratture che si vanno allargando nella societa' italiana: la frattura territoriale Nord-Sud, che e' tornata ad accentuarsi, fino a riproporre l'interrogativo sulla tenuta stessa dell'unita' nazionale; la frattura generazionale, che vede per la prima volta i piu' anziani, non solo nell'impossibilita' di assicurare ai piu' giovani prospettive migliori di quelle di cui essi stessi hanno goduto, ma quasi rassegnati ad assistere ad un loro anche accentuato deterioramento; la frattura sociale, tra settore privato (determinato dal mercato) e sistema pubblico (gestito dalla politica), che sta alimentando un conflitto dalle caratteristiche nuove, in un certo senso inedite, con la contrapposizione tra mondo della produzione da una parte e sistema della spesa pubblica dall'altra; fino alla frattura di cittadinanza, che vede crescere il numero di lavoratori non cittadini e ora anche di figli di immigrati, nati, cresciuti e istruiti in Italia e che l'Italia, alle prese con la sfida inedita dell'integrazione etnica, culturale, religiosa, fatica a riconoscere come cittadini.

3.
Ingiustizia sociale, inefficienza economica, debito pubblico: tre problemi di tipo strutturale, ciascuno dei quali e' causa ed effetto degli altri. Solo una strategia che li aggredisca tutti e tre contemporaneamente puo' realisticamente proporsi di evitare un declino che potrebbe anche essere niente affatto dolce, ma anzi aspro, conflittuale, perfino violento. Se vuole restare una Nazione, se vuole evitare il rischio di soccombere sotto le fratture che la minacciano, l'Italia ha bisogno urgente e drammatico di una stagione di riforme, coraggiose e profonde; di innovazione vera e giusta; di ridefinizione dei diritti e dei doveri di ciascuno, in una parola di un nuovo patto di convivenza civile che metta al centro la crescita, il lavoro, il futuro dei giovani.
Senza riforme, anche la timida ripresa in atto non diventera' crescita stabile, non riuscira' a creare occupazione e si dimostrera' quindi inadeguata a invertire la tendenza del Paese a perdere terreno in Europa e nel mondo.
L'Italia ha bisogno di riforme nel settore pubblico: per fare della spesa pubblica un fattore di competitivita' e per dotare il Paese di un welfare della solidarieta' e della responsabilita', che non si limiti a compensare le disuguaglianze, le marginalita', le esclusioni prodotte dallo sviluppo economico, ma nutra l'ambizione di ricostruire la cultura delle relazioni e di promuovere il rispetto della dignita' e dell'unicita' di ogni persona. Un welfare che promuova i diritti delle persone anche attraverso il sostegno alla famiglia e alle relazioni sociali. Un welfare ripensato a misura delle giovani generazioni, che contrasti la precarieta' con misure di sostegno al reddito e di accompagnamento da un lavoro all'altro e con nuove regole del mercato del lavoro che abbattano l'attuale regime di apartheid tra aree di lavoratori protette e garantite ed aree prive di qualunque tutela. Un welfare che investa piu' risorse nella formazione, nella scuola, nell'universita', nella ricerca e sappia impiegarle meglio, premiando la competenza, il merito, i risultati.
I grandi mutamenti che hanno investito il mondo del lavoro, a causa dei processi di globalizzazione, possono essere governati in due direzioni: quella della radicalizzazione dello scontro sociale e politico, o invece quella di una nuova concertazione, di un nuovo patto tra produttori per la crescita e per l'equita' sociale, fondato sulla consapevolezza della comunita' di destino che unisce lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi e delle partite Iva, imprenditori piccoli e grandi. L'Italia ha bisogno di una politica capace di ripensare il rapporto tra l'economia e la societa'. La crisi economica internazionale ci ha insegnato che non basta individuare regole adatte a eliminare le turbolenze dei mercati: occorre ripensare a fondo i rapporti tra politica e mercato, richiamando a tal fine l'ispirazione propria di un'economia sociale di mercato. Di fronte alla crisi non ha senso riproporre vecchi approcci statalisti, tanto meno illudersi su una possibile rivincita dell'ideologia tipica della sinistra del secolo scorso. Dalla crisi si esce non rinnegando ma rilanciando l'idea di un riformismo liberale e solidale.
Non bastano aggiustamenti parziali, di carattere tecnico o istituzionale, occorre darsi grandi mete sociali e politiche e sostenerle con forti ideali. Bisogna ripensare le stesse categorie fondamentali su cui si e' costruito il patto sociale che ha sostanziato le democrazie del Novecento e i valori che le hanno ispirate, lavorando a delineare un nuovo modello di crescita, che si puo' sintetizzare nel passaggio da un'economia dei consumi a una orientata allo sviluppo umano.
Strategica e', a questo riguardo, una rivoluzione ambientale che innovi fortemente il settore produttivo, quello energetico, quello urbanistico, incoraggiando e sostenendo la sempre piu' nutrita schiera di imprenditori coraggiosi che stanno facendo della qualita' la cifra di un nuovo 'made in Italy'.
Non ci puo' essere sviluppo dell'Italia se non si assume come priorita' politica la lotta all'illegalita', il contrasto dei livelli politici e finanziari dei poteri criminali, la ricerca della verita' sulle pagine piu' buie e opache della nostra storia collettiva, il prosciugamento delle ragioni sociali del consenso alle mafie nel Mezzogiorno.
E' arrivato il momento di aprire una fase nuova del rapporto fra politica e giustizia. La politica deve assumere il punto di vista dei cittadini in termini di bisogno di legalita' e diritto alla giustizia, uscendo finalmente dalla contrapposizione fra giustizialismo e tolleranza dell'illegalita' e proponendo a tutte le forze della giustizia un tavolo comune di riforma. Diritti individuali dei cittadini e bisogno di legalita' non sono infatti separati e separabili, ma possono vivere solo insieme.

4.
Il ritardo accumulato e' enorme, ma esistono le risorse per farcela: alcune migliaia di medie imprese si sono ristrutturate e portano con se', nella competizione internazionale, migliaia e migliaia di piccolissime aziende che sono il nerbo della nostra struttura produttiva, forti della qualita' e della capacita' 'di fare' di milioni di lavoratori che vogliono vedere finalmente premiati, anche nel salario, la loro capacita' e il loro impegno, attraverso un completo ridisegno del modello contrattuale. Nella Pubblica Amministrazione, la maggioranza dei lavoratori e dei dirigenti avverte come un'umiliazione anche personale la distanza tra i costi sopportati dalla collettivita' e le effettive prestazioni di servizio. Milioni di giovani, sui quali negli ultimi quindici anni si sono violentemente scaricate tutte le esigenze di flessibilita' del sistema, potranno contribuire allo sviluppo solo se la loro partecipazione al mercato del lavoro avverra' superando l'attuale stato di segregazione cui sono costretti da regole ormai vetuste. Nel Sud, in particolare, la voglia di fare, l'intelligenza, la fantasia e l'impegno di milioni di giovani donne reclama politiche pubbliche capaci di introdurre disparita' positive per il loro inserimento nel mondo del lavoro legale. La rivoluzione digitale, grazie alla diffusione della banda larga, moltiplica in modo formidabile le capacita' creative, di competitivita' e di partecipazione dal basso.
Una coerente strategia riformista puo' dunque contare su rilevanti forze sociali, unendole in un progetto che risponda ai bisogni dei piu' deboli facendo leva sui meriti dei piu' capaci. Questa strategia non puo' essere incardinata prevalentemente attorno a obiettivi di difesa della realta' presente, aggredita dall'attacco della destra populista. Al contrario: l'alleanza da promuovere e' tra chi ha bisogno del cambiamento, ma da solo non puo' realizzarlo perche' non sa, non ha, non puo' abbastanza e chi vuole il cambiamento, perche' sa progettarlo, ha interesse a promuoverlo, ha le relazioni necessarie per realizzarlo, ha la forza necessaria per piegare le tante resistenze corporative che vi si oppongono.
L'Italia aspetta, con un'impazienza che sta diventando disincanto se non rassegnazione, una proposta politica all'altezza della sfida storica dinanzi alla quale si trova. E se al fallimento della destra dovesse corrispondere una speculare inadeguatezza delle forze riformiste, incapaci di proporre un'alternativa credibile, affidabile, autorevole, il Paese correrebbe il rischio di una crisi di sistema, una crisi che potrebbe avere come sbocco la riduzione della liberta' e della democrazia, in nome del bisogno emergenziale di decisione. Perche', quando la democrazia si dimostra incapace di prendere le decisioni necessarie, si finisce inesorabilmente per cercare sedi di decisione senza democrazia.

5.
Il Partito democratico e' nato dalla consapevolezza del carattere epocale del difficile passaggio storico che l'Italia si trova ad attraversare. Ed e' nato con l'ambizione di rappresentare la proposta adeguata ad affrontarlo: non per un atto di presunzione, ma per la convergenza di diverse storie, culture, tradizioni riformiste, accomunate dal riconoscimento della propria inadeguatezza, o difficolta', dinanzi alle sfide inedite del presente e del futuro e dalla volonta' di concorrere alla costruzione di una risposta condivisa, aperta e innovativa.
Concentrando tutte le sue energie sull'obiettivo di avanzare una proposta innovativa al Paese, il Partito democratico, sia pure in un quadro di sconfitta nella competizione sul governo, resa inevitabile dal fallimento dell'Unione di centrosinistra, ha saputo suscitare una grande speranza nella societa' italiana. E raccogliendo il consenso di un elettore italiano su tre, non solo ha posto la premessa principale di una strategia di riconquista del governo su un terreno di affidabilita' e di innovazione, ma in un'epoca segnata dalla frammentazione e dal proliferare di partiti effimeri, personali, privi di vita democratica interna, ha dato anche un grande contributo alla rivalutazione, nel solco dell'articolo 49 della Costituzione, del ruolo del partito politico come istituzione civile, snodo essenziale del buon funzionamento della democrazia.
La crisi del berlusconismo rende questa prospettiva, la prospettiva costitutiva del Partito democratico, al tempo stesso ancor piu' necessaria e urgente, ma anche piu' realistica e praticabile: perche' riapre la possibilita' di uno spostamento profondo, di un sensibile riallineamento dei rapporti di forza politico-elettorali nel Paese. A condizione, ovviamente, che si sia disposti a lavorare, a impegnarsi a fondo per questo obiettivo, rinnovando in profondita' non i nostri principi, ne' la nostra specifica rappresentazione dei valori di liberta', uguaglianza, fraternita', solidarieta', ma le parole e le cose con le quali li abbiamo tradotti nel secolo scorso e che oggi sono perlopiu' incapaci di dare risposte adeguate alle sfide del nostro tempo. A condizione che si voglia e si sappia uscire dal recinto - territoriale, sociale, generazionale - dei consensi tradizionali, per aprirsi alla ricerca di nuovi apporti. A condizione che si facciano risolutamente i conti con le posizioni conservatrici che, anche nel campo del centrosinistra, pensano che il nostro compito prioritario sia quello di difendere le conquiste del passato, piuttosto che cambiare in profondita' una realta' che contraddice i nostri valori, punisce il merito e condanna i piu' deboli.
Cosi' non e' stato fin qui, o non lo e' stato abbastanza, per responsabilita' diffuse e condivise. Non si spiegherebbe altrimenti il paradosso per il quale il Pd e' riuscito ad ottenere quasi il 34 per cento dei voti nel momento di massima difficolta' per il centrosinistra e di massimo consenso al berlusconismo e fatica oggi a stare sopra il 25 per cento, in piena crisi politica del centrodestra.
Ma nulla sarebbe adesso piu' sbagliato e contraddittorio, che affrontare la crisi politica e culturale del berlusconismo, sulla base dell'assunto della immutabilita' dei rapporti di forza nel Paese. Una visione cosi' angusta e rinunciataria, cosi' falsamente realista, spingerebbe i democratici ad arroccarsi in difesa, pigri e spaventati, quando e' invece il momento di uscire allo scoperto e di avanzare proposte coraggiose e innovative.
Esempi di questa mancanza di coraggio, di questa vera e propria involontaria subalternita' ad un pensiero unico, sono per un verso l'ipotesi neo-frontista e per altro verso quella vetero-centrista: ipotesi che nel confuso dibattito interno al Pd tendono peraltro a mescolarsi, ad alternarsi in continue svolte e controsvolte, che offrono l'immagine di un partito che fatica ad esprimere una strategia nitida.
La prima ipotesi, quella neo-frontista, punta a raccogliere lo schieramento quantitativamente piu' vasto, talmente vasto da avere in comune solo l'avversario: un errore strategico, che in passato il centrosinistra ha gia' pagato caro, in termini di tenuta, di affidabilita', di credibilita', di autorevolezza. Riproporre oggi questa strategia, non solo avrebbe il sapore di una perseveranza nell'errore, ma significherebbe non cogliere la domanda politica del Paese, che non e' di schieramento, ma di contenuto, non e' di alleanza contro (conservatrice e difensiva), ma di alleanza per (riformista e innovativa), proprio per questo capace di attrarre nuovi consensi e di suscitare nuove energie. Significherebbe, in altri termini, restare dentro lo schema del berlusconismo, proprio mentre il Paese cerca la via per uscirne.
Altrettanto inadeguata e' l'ipotesi vetero-centrista, che fa leva su quello che essa definisce il duplice fallimento dei due poli del bipolarismo italiano, per proporre la riedizione di un modello di sistema politico che assegna a tavolino la rappresentanza dei delusi dal berlusconismo a un polo moderato, spinto da sinistra a giocare una partita di autonomia e convenzionalmente abilitato ad esercitare un ruolo di perno nella evoluzione del quadro politico italiano. Da qui i rischi di trasformismo, perche' un cambiamento intessuto di ambiguita' e reticenze potrebbe alimentare la rincorsa, in alcuni settori della societa' italiana, alla occupazione del potere in nome di pure esigenze di opportunita' e deteriore pragmatismo. Anche questa ipotesi appare subalterna al berlusconismo, proprio in quanto accetta l'identificazione fra bipolarismo e berlusconismo, quasi il problema del Paese fosse quello di liberarsi della competizione bipolare e non invece quello di liberare il bipolarismo dall'ipoteca populista.

6.
Ma il limite piu' grave di entrambe queste ipotesi e' il loro rassegnarsi a vedere la politica ridursi a rappresentare le fratture della societa' italiana, anziche' operare per ricomporle e superarle. Una rassegnazione che finisce per condannare il centrosinistra ad un destino minoritario.
Il Partito democratico e' nato invece proprio per sconfiggere questa rassegnazione, per varcare questi limiti, per saldare queste fratture. Se vuole restare fedele a se stesso e soprattutto se vuole fondare la sua proposta di governo su basi solide, il Pd deve darsi una strategia di allargamento dell'area dei propri interlocutori e dei propri consensi, che faccia leva su un programma riformista, su un progetto innovativo per il Paese e su una classe dirigente fortemente rinnovata, attingendo a risorse che non siano solo quelle della politica tradizionale. Il Pd deve porsi l'obiettivo esplicito e dichiarato di allargare in modo cospicuo i suoi consensi e il suo radicamento ove oggi sono piu' deboli e fragili: a cominciare dal Nord, dal mondo produttivo, dalle nuove generazioni. Allo stesso modo, dopo lo scacco di una stagione di governo di gran parte delle regioni meridionali, il Pd non puo' accettare di considerare perduta la battaglia per la legalita', l'innovazione e la crescita nel Mezzogiorno.
Il Pd deve perseguire questi obiettivi innanzi tutto agendo su se stesso, riprendendo la via dell'innovazione: perche' senza un partito grande del riformismo, un partito a vocazione maggioritaria, capace di competere per il primato nel Paese e di attrarre e organizzare attorno alla sua proposta le migliori energie intellettuali e morali, sociali e civili, le stesse alleanze, come si dimostra oggi, sono piu' difficili e non piu' facili.
La vocazione maggioritaria del Partito democratico non e', non e' mai stata, il culto dell'autosufficienza, ma lo sforzo di pensare se stesso, la propria identita' e la propria politica, come recita il Manifesto dei valori del Pd, 'non gia' in termini di rappresentanza parziale di segmenti piu' o meno grandi della societa', ma come proiezione della sua profonda aderenza all articolazioni e alle autonomie civili, sociali e istituzionali proprie del pluralismo della storia italiana e della complessita' della societa' contemporanea, in una visione piu' ampia dell'interesse generale e in una sintesi di governo, che sia in grado di dare adeguate risposte ai grandi problemi del presente e del futuro'.
Innovazione, innanzi tutto, della sua cultura politica, che non puo' ridursi a una riedizione regressiva del compromesso storico, ne' risolversi nella tardiva adesione alla socialdemocrazia, ma deve valorizzare appieno il pluralismo delle storie che in esso sono confluite, come base di partenza nel delineare i tratti di una nuova identita' pienamente democratica. Un'identita' che si sente parte del grande movimento democratico e progressista europeo e mondiale e che si esprime, in Italia, nel superamento degli storici steccati tra laici e cattolici, in nome della ricerca comune dei principi di un nuovo umanesimo: che riconosca alla dimensione religiosa piena cittadinanza nel dibattito pubblico e riaffermi il principio di laicita' delle istituzioni e che accompagni la crescente sensibilita' per le liberta' e le nuove frontiere dei diritti civili, con la maturazione di una nuova cultura della responsabilita'. Un'identita' plurale che, insieme all'apporto delle tradizioni del riformismo socialista e di quello cattolico democratico, riconosca l'importanza decisiva delle culture liberaldemocratiche e ambientaliste che oggi caratterizzano i democratici in tutto il mondo. Il Pd deve far pesare la sua carica innovativa anche in Europa, dove e' chiamato a mantenere una delle sue promesse fondative, non limitandosi a militare in una delle famiglie europee, ma promuovendo l'intesa e la collaborazione tra le diverse componenti democratiche e progressiste accomunate dall'ideale europeista.
Innovazione della sua proposta programmatica, che deve assumere con coraggio l'obiettivo di battere tutti i conservatorismi, compresi quelli, palesi ed occulti, di centrosinistra, ponendo al centro il tema della democrazia decidente, attraverso le necessarie riforme istituzionali ed elettorali: rafforzamento dei poteri del premier e di quelli di controllo del Parlamento, regolazione del conflitto d'interessi, norme contro la concentrazione del potere mediatico e il controllo politico della Rai, differenziazione delle camere, riduzione del numero dei parlamentari, una legge elettorale, come si legge nel documento approvato dall'Assemblea nazionale del Pd del maggio scorso, 'di impianto maggioritario fondato sui collegi uninominali', insieme a norme sulla democrazia di partito e ad una regolazione delle primarie per le cariche monocratiche. Naturalmente con la preoccupazione, in materia di riforme delle grandi regole della democrazia, di definirne gli aspetti piu' specifici alla luce di una esigenza di ampio coinvolgimento politico tra le forze democratiche interessate a costruire una nuova fase politico-istituzionale del Paese.
Solo un Pd che si dimostri capace di espandere l'area dei suoi consensi e di rafforzare il suo radicamento nel Paese puo' raccogliere attorno a se' un'alleanza riformista per il governo dell'Italia: una coalizione coesa ed omogenea, selezionata dal progetto e proprio per questo affidabile e credibile. Perche' solo un Pd forte e autorevole nel Paese puo' incoraggiare evoluzioni positive, nella direzione di una responsabile e innovativa cultura di governo, da parte delle forze che si collocano nell'area della sinistra e depotenziare preoccupanti regressioni, incompatibili con la cultura politica e istituzionale del Partito democratico, come quelle che ha fatto registrare chi, in questi due anni, e' passato dalla convinta sottoscrizione di un programma riformista alla legittimazione di atteggiamenti demagogici e intolleranti.

7.
L'insieme di queste ragioni ci spinge a ritenere necessario promuovere una iniziativa forte e coraggiosa per il superamento delle gravi difficolta' del Partito democratico e per il rilancio del suo progetto di innovazione e riformismo.
Non intendiamo dar vita a una corrente, a uno strumento chiuso nella logica della lotta interna, ma a un movimento di partecipazione civile e culturale, che si proponga di rafforzare il consenso al Pd e il suo pluralismo, coinvolgendo forze interne ed esterne al partito, tornando ad appassionare energie che si sono allontanate e rischiano di disperdersi e suscitando l'attenzione e l'interesse di settori della societa' italiana che la crisi politica e culturale del centrodestra ha rimesso in moto.
La nuova situazione politica che si va delineando dopo il fallimento del berlusconismo rende se possibile ancora piu' necessario, per il Paese, un Partito democratico piu' grande e piu' forte, che voglia essere protagonista di una politica di riformismo e di innovazione, di una proposta di governo per il cambiamento.
E' questo il nostro obiettivo, la ragione del nostro impegno politico. Nel Partito democratico, per il Partito democratico.

Il commento di Hominibus

Cambiano gli uomini al comando, ma la musica no!
Avrebbero un poker in mano ma non lo sfruttano,
perché sono uomini d'ispirazione centrista
o, peggio, di destra di seconda scelta
con la fissa della politica o morte,
e sono la sventura per quelli
che vantano di difendere!
Il Poker in mano
é, in una vera democrazia,
il programma di fiscalità onesta
che sia capace di far pagare le imposte
in proporzione alla reale ricchezza dei cittadini,
mentre tutti i patrocinatori della politica democratica
preferiscono assoggettarsi all'irridente sberleffo
della furba banda di assalitori alla diligenza 
che ormai possono mettere in ridicolo
ogni proposta della opposizione,
proprio perché é ipocrita
nella sostanza!
Quindi...
EVER GREEN Walter,
Non devi cincischiare
sui soliti concetti sdruciti e ipocriti!
Aiuta a giocare il poker che avete in mano,
pretendendo la corretta applicazione dell'art.53
della Costituzione italiana, su cui avete tutti giurato,
e disperdi d'incanto il famelico branco di licaoni, 
terrorizzati alla sola idea che possa prevalere
finalmente quella giustizia che una politica
di finta sinistra, incapace o disonesta,
ha negato alla maggioranza della
popolazione, vantandone...
la rappresentanza!
Altrimenti arriverà il giorno
che sarete sommersi dalla vergogna
e chiamati al giudizio di un Dio onnipotente
per la vostra testardaggine a voler fare politica,
tradendo nelle parole e nei fatti la fiducia carpita,
che via via si sta consumando fino a tradursi in odio,
volgendo in simpatia verso i furfanti a viso scoperto,
più onesti nel loro operare perché sono coerenti,
anzi molto prodighi di insegnamenti formidabili
per costruire quella democrazia del delitto,
dove non si contrabbanderà il soccorso
con la negazione di sacrosanti diritti,
ma prevarrà solo la forza.
Caro Walter Veltroni
Dicci qualcosa di serio, quindi non di questa sinistra,
una cosa che abbia a cuore veramente ricchi e poveri.
 
Per esempio:
 
1) Via tutte le imposte sui redditi di lavoro e rendite varie;
2) Via tutte le imposte sulle successioni;
3) Via tutte le imposte sulle compravendite;
4) Via tutte le imposte sui consumi;
5) Via tutte le imposte sui capitali
6) Via tutte le dichiarazioni spontanee
 
che debbono essere sostituite dal...
sano, onesto, democratico, infallibile, economico,
semplice, trasparente, impermeabile all'arbitrio politico,...
FISCO PATRIMONIALE 
su tutti i tipi di ricchezza alla luce del sole,
il cui valore deve essere definito dal privato cittadino
in stretta connessione con il libero mercato per formare la base
dell'unico riferimento fiscale per la ripartizione delle spese indivisibili,
capace di eliminare d'incanto, con la causa prima, molti dei mali della società.
 
Solo così potrete avere la certezza di spegnere quel ghigno,
anche se qualche ristrettezza la subireste anche voi,
essendo abituati a trarre indebito vantaggio
barattando la vita della maggioranza
per il bene di una minoranza,
a cui ponete tanta cura
per farne parte!
 
La convinzione di Hominibus:
 

"Un fisco onesto, efficace, efficiente, economico, equamente partecipativo,

in una società semplice, liberale, laboriosa, ma fiscalmente mercantile,

capace di ridurre la solidarietà perché ne rimuove la principale causa...

cioé l'pocrisia del potere, spesso sotto le vesti di premuroso patrocinio!"

 

Roma, 19 Settembre 2010
 
Hominibus
Movimento di opinione per la costruzione di una società onesta,
che riconosca finalmente i diritti della maggioranza delle popolazioni mondiali,
vessate da politiche vergognosamente favorevoli alle classi benestanti, sempre peggio rappresentate.