Con un colpo di teatro studiato nei minimi dettagli da tutti gli attori in campo, insospettabili compresi, il premier Conte fa morire la grande onda che doveva travolgere il governo nel “mercoledì da leoni”della politica italiana. E fa trionfare un accordo che per quanto stretto e difficile in questo momento è la miglior assicurazione sulla sopravvivenza del governo.
In un breve ma studiatissimo video postato su Facebook dopo le 19.30, Conte ieri sera ha pronunciato le parole che un bel pezzo di Paese aspettava da circa un anno. “Oggi bloccare la Tav costerebbe più che completarla. Fermarla non sarebbe nell’interesse nazionale”. Il 7 marzo il premier disse, nella conferenza stampa in cui iniziò ad affrancarsi, che non avrebbe mai autorizzato quell’opera perché inutile. Non ha cambiato idea, non sta rinnegando le sue parole di allora. “Ma oggi l’impatto finanziario sul Paese è diminuito, l’Europa coprirà fino al 55% dei costi e seguire un progetto alternativo vorrebbe dire farlo da soli. La Francia non accetterebbe mai”.

Regia perfetta

E’ una regia perfetta che, come vedremo, lascia a tutte le parti in gioco l’alibi per dire di non aver rinnegato se stesso. Non è chiaro se Salvini e Di Maio ne fossero informati. Il fatto certo è che così facendo Conte ha messo in salvo la legislatura. Almeno le ha tolto di dosso la più grossa ipoteca. Come chiedeva il Presidente della Repubblica. E anche i 5 Stelle al governo. Il fatto è che se prendiamo la giornata di ieri dalla fine e la guardiamo in prospettiva, il “disegno” che viene fuori è quello di un lento, definitivo, costante e con metodo sminamento della politica italiana da tutto ciò - dossier ma anche appuntamenti - che potevano in un secondo diventare l’occasione che la Lega sta cercando per mandare tutto all’aria come chiede il 90 per cento della sua classe dirigente convinta che stare al governo sia “una trappola” e “un costante logoramento”.

Lo sminamento

Tra ieri e oggi e per tutta la settimana erano previsti in agenda una serie di appuntamenti tutti potenzialmente deflagranti. Uno dopo l’altro, nell’arco della giornata, sono stati sminati, a volte congelati, altre volte smontati. In modo che in serata è possibile dire che la crisi di governo è scongiurata e che l’ipotesi del voto a settembre è stata allontanata per sempre. Sospiro di sollievo tra i 5 Stelle, disperati all’idea di dover lasciare il governo senza certezze per il futuro. Delusione massima tra i leghisti che ieri si aggiravano per il Transatlantico ancora convinti che “la fine del governo sia ormai scritta, basta trovare l’occasione”.

Autonomie

La prima mina neutralizzata ieri è stato il doppio tavolo tecnico-politico a palazzo Chigi sulla legge sulle Autonomie regionali differenziate per trovare quella sintesi che dopo giorni di lettere e ultimatum (“questo è il governo della restaurazione altro che del cambiamento” il grido dei governatori) sarebbe dovuta approdare giovedì al tavolo del consiglio dei ministri. Non c’è stata la prima e non ci sarà il Cdm. “Impensabile che si chiuda questa settimana. La verità è che siamo in altissimo mare” spiegava ieri una fonte di governo quota Lega. Il ministro Stefani è stata assai più vaga: “Dobbiamo discutere, spiegare bene e poi decidere. Io comunque non do più date di scadenza”. Sono ancora troppi i nodi sul tavolo da sbrogliare, dalle sovrintendenze a quello delle risorse finanziarie. Tutto rinviato, in attesa magari di quel conclave chiarificatore auspicato dal governatore Zaia.

Decreto sicurezza e ddl Pillon

Oggi è atteso alla Camera il voto di fiducia sul decreto sicurezza bis che ha tagliato via di netto ogni ipotesi di emendamento richiesta non solo dalle opposizioni ma anche dai 5 Stelle. A parte qualche voto in dissenso – più o meno una decina - non sono previste sorprese sul voto che passerà alla Camera a larga maggioranza. Diversa invece la situazione al Senato dove il testo approderà la prossima settimana per il via libera finale (entro il 13 agosto ma i senatori vogliono chiudere entro il 2 agosto) dove i numeri della maggioranza sono sempre più risicati (due voti di scarto) in seguito ad espulsioni ed epurazioni. Nessun problema, ci sono numerosi “responsabili” tra Misto e Autonomie pronti a votare la legge che chiude i porti e vieta, nei fatti, i soccorsi in mare. In quell’occasione si potrebbe però formare una maggioranza diversa. Tale da rendere necessario un passaggio al Quirinale del premier Conte.
Sempre oggi la Lega aveva fatto tornare all’improvviso in agenda l’inizio della discussione sul ddl Pillon, una rivisitazione del diritto di famiglia che mette a serie rischio i diritti dei bambini e delle mamme in favore dei padri e che avrebbe messo in seria difficoltà il Movimento 5 Stelle: ieri sera è sparito anche questo. Se ne riparla a settembre, “con un’impostazione diversa” è stata la promessa del Movimento. Il Pd, pronto a fare le barricate, ha esultato.

La resa dei conti sulla Russia

E’ stato, fino al video sulla Tav, il motivo di maggior suspence. Una specie di armageddon sui fondi russi alla Lega: oggi alle 16 e 30 il premier Conte interverrà al Senato spiegando, lui che ha la delega all’intelligence, se e come i rapporti tra la Lega e il Cremlino possono rappresentare un rischio per la sicurezza nazionale. Rapporti che per primi anche i 5 Stelle hanno intrecciato dal 2015 in avanti. A seguire ci sarebbe dovuta essere la replica di Salvini, in quanto segretario del partito in nome del quale sarebbero stati trattati i finanziamenti (65 milion) per la campagna elettorale per le Europee. Salvini che da una settimana si rifiuta non solo di venire in aula a spiegare, come richiesto dal Pd e da Leu e avallato anche da Di Maio, che tipo di accordi ha stretto con il Cremlino e perché i suoi collaboratori trattavano partite di tonnellate di petrolio. Salvini che rifiuta di rispondere anche alle ripetute lettere inviate dal presidente della Camera Roberto Fico.

Nessun duello in aula

Da giorni gli osservatori del governo e delle dinamiche parlamentari avevano pregustato la scena di Conte che parla dal banco del governo e di Salvini che risponde dai banchi della Lega. Ieri pomeriggio il segretario della Lega ha fatto sapere di non essere sicuro di essere presente in aula. “Ho un Comitato per l'ordine pubblico e la sicurezza sull'immigrazione, vediamo se gli orari saranno compatibili. A me – ha aggiunto – pagano lo stipendio per risolvere i problemi della criminalità, non per commentare vicende di fantasia”. Su cui però c’è un’indagine della procura di Milano per corruzione e una serie di rogatorie e altre verifiche in corso.
Gli orari comunque non coincidono. O meglio, coincidono così tanto che Salvini non potrà essere in aula al Senato, né per sentire né per parlare: alle 16.30 l’informativa di Conte; alle 16 il Comitato al Viminale. Anche questa mina, la più devastante – premier e vicepremier contro in aula sarebbe stata la conclamazione della crisi di governo -, è stata disinnescata. Lasciandosi dietro una marea di interrogativi.

Via libera alla Tav

Non c’è dubbio che l’ostacolo principale, e l’occasione migliore per far precipitare la crisi in questa che era l’ultima settimana utile, sarebbe stata la Tav. O meglio, la risposta che entro venerdì il premier Conte avrebbe dovuto dare per risolvere una volta per tutte lo scomodo dossier sull’alta velocità Torino-Lione. Occhi e orecchie puntate dunque su venerdì 26 luglio. Ma il premier Conte ha anticipato i tempi e provveduto a sgomberare il terreno anche da questa mina. Uno dei 3 famosi No che Salvini aveva indicato come responsabili della fine della legislatura (gli altri sono Autonomie e Giustizia, entrambi rinviati a settembre).
Salvini è stato, anche ieri, in pressing forzato sull’Alta velocità in vista della scadenza di venerdì (ultima data per deliberare sui fondi Ue). “Mi sembra chiaro ed evidente che la Tav si farà. E’ un'opera fondamentale ma non è l'unica che un ministro ha bloccato. Quindi o il ministro dei 'blocchi' sblocca o non capisco cosa ci faccia al governo”. Il popolo 5 Stelle è in fermento, in Piemonte la giunta Appendino sfiora ogni giorno la crisi per questo, “abbiamo vinto promettendo di bloccare una volta per tutte i cantieri della Tav, i nostri non capirebbero, ci sputano in faccia…” continuano a ripetere i delegati 5 Stelle. Gli scontri in val di Susa nel fine settimana sono solo gli ultimi di una serie iniziata dieci anni fa.

Capolavoro di equilibrismo

Il video di Conte è un capolavoro di equilibrismo. Salvini è servito e soddisfatto: la Tav si farà “come abbiamo sempre detto”. Ma non rinuncia a provocare Toninelli: “Spiace perché da un anno continua a dire questo e altri No. Spiace per il tempo buttato via”. Segno che il tema della sua sostituzione alle Infrastrutture resta un’urgenza. Toninelli, infatti, non ha alcuna intenzione di lasciare dopo la clamorosa sconfitta e si attacca all’unico appiglio che Conte poteva lanciargli: il buon lavoro fatto per diminuire il costo pubblico dell’opera. Di Maio, anche lui, si aggancia all’unico assist che il premier poteva e doveva dargli: solo il Parlamento, nella sua centralità, ha il potere di esprimersi in modo diverso rispetto al governo che deve seguire criteri di opportunità ed economicità. E’ l’unica possibilità che Di Maio ha per non svendere l’anima del Movimento, almeno quello delle origini. Per tenere a bada la base, non solo sul territorio ma anche in Parlamento che mormora e si lamenta (stamani è prevista assemblea congiunta). “M5s presenterà un atto in Parlamento che ribalti la decisione del governo” annuncia Di Maio sapendo che accadrà il contrario ma tanto basta per far vedere al mondo che “noi non abbiamo cambiato idea, la Tav era e resta un’opera dannosa”. L’unica via di fuga per Di Maio è poter oggi immaginare il tabellone di quel voto in aula in cui il Movimento resterà solo e isolato contro il resto del mondo. “E così vedremo chi va a braccetto con Berlusconi, il Pd, Merkel e Macron” può dire il vicepremier grillino tappando la bocca a chi sospetta che la partita europea (elezione del grillino Castaldo e voti dei 5S decisivi per l’elezione di Ursula von der Leyen) fosse già l’anticamera della decisione annunciata ieri.

Tutto questo basterà?

In casa Lega possono gioire e rivendicare la vittoria. “La Tav è un'opera fondamentale per l'intero Paese e sarà fatta per rendere più veloci i collegamenti internazionali e dei pendolari, alleggerire il traffico su gomma delle merci, abbattendo l'inquinamento. Il cantiere va avanti ed è un'importante vittoria della Lega". Lo dichiarano il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari, e il responsabile Infrastrutture Edoardo Rixi che rivendicano al loro lavoro “l’abbattimento dei costi” e ricordano che “sono tante altre le opere che adesso attendono il via libera”. Motivo per cui si fidano ma anche no. E oggi (alle 15) vorranno sentire parole definitive e ufficiali (non il video su Facebook) proprio da Conte durante il question time alla Camera. Ma se il via libera alla Tav smonta la mina più grossa non è però sufficiente per blindare la legislatura. L’elenco di Salvini è lungo: ci sono le altre grandi opere, la legge sulle Autonomie, il rimpasto di governo (Toninelli, Trenta e Costa nel mirino), la manovra. Diciamo che la famosa finestra del voto a settembre può dirsi oggi definitivamente chiusa.
Di Maio, invece, ha un problema grosso come una casa. L’assist di Conte (far decidere il Parlamento) non basta a convincere chi aveva fatto del No alla Tav il motivo esclusivo dell’adesione al Movimento. Ieri sera lo staff di Di Maio ha fatto circolare subito che “Grillo appoggia Luigi e il Movimento”. La difficoltà per il vicepremier è enorme nonostante Conte lo abbia aiutato in tutti i modi. I parlamentari chiedono l’assemblea (stamani). Le truppe marciano in val di Susa. A sua disposizione, per cercare di contenere Salvini, restano ormai poche armi: il caso Arata, i fondi dalla Russia. Ma sono il Tav, il Tap, Ilva, Atlantia in Alitalia e gli altri dossier su cui il Movimento di governo si è rimangiato la parola data che rischiano di pregiudicare il futuro della legislatura e la sopravvivenza del Movimento. Più di quello che s’è visto ieri, il premier e il Quirinale non potevano fare.