L’irritazione di Mattarella: Berlusconi e Salvini costretti a decidere. E punta sul Pd !!!
Il Capo dello Stato: “Dopo due mesi è necessario dare al più presto un governo all’Italia. Ho atteso altri tre giorni ma nessuna novità è emersa”. Mandato a Fico verso il Pd:“Partirò dai programmi”. Subito a colloquio con il premier Gentiloni per sondare l’ala trattativista e governista dei dem. Martina: “Sì al confronto se Di Maio cessa il doppio gioco”. Ma prevale lo scetticismo: “E’ solo un bluff”. Il no dei renziani: “Incompatibili”. L’addio di Di Maio a Salvini. Ma i due trattano ancora
Deve avergli dato parecchio fastidio quel Salvini a mezze maniche che con voce flautata e da un palco di propaganda domenica sera chiedeva altro tempo: “Cosa saranno mai altri due, tre giorni se poi faccio un governo che dura 5 anni…”. Al traccheggio, il Presidente della Repubblica ha risposto con l’affondo: ieri pomeriggio alle 17 ha convocato al Quirinale il Presidente della Camera Roberto Fico, il grillino ortodosso che da giovane militava nel Pds napoletano, e gli ha affidato “il compito di verificare la possibilità di un’intesa di maggioranza parlamentare tra M5s e Pd per costituire il governo”. E’ lo stesso tipo di mandato affidato alla presidente Casellati ma che va a guardare dalla parte opposta. Mattarella attende una risposta entro giovedì (26 aprile). “Comincio subito, cercherò questa maggioranza a partire dai temi e dal programma” ha detto Fico alla stampa assiepata nel Loggia d’onore.
Subito a colloquio con Gentiloni
Se n’é andato a piedi e, così come era salito, è sceso per via della Dataria e poi per i vicoli pieni i turisti e ha fatto un primo stop a palazzo Chigi dove ha incontrato il presidente Gentiloni. Un colloquio lungo circa mezz’ora, dalle 18 alle 18 e 30, probabilmente per mettere in fila subito le condizioni dell’ala governista e trattativista del Nazareno. Che da ieri pomeriggio, dopo un paio di settimane da spettatore interessato, ha iniziato nuovamente a fibrillare tra chi dice “mai con i 5 Stelle” e chi invece corregge: “Andiamo a vedere le carte”. Al di là delle sfumature - perché comunque è difficile per tutti anche solo dialogare con i 5 Stelle dopo anni di attacchi e accuse infamanti - quello di oggi è solo l’ultimo duello tra renziani e non renziani. Ma anche l’ultima, in ordine di tempo, occasione per chiudere una volta per tutte la stagione di Matteo Renzi.
Il Presidente “irritato”
Un Mattarella “furioso” – per come la furia possa appartenere ad una personalità controllata come il Presidente della Repubblica - ha così rovesciato il tavolo apparecchiato in due mesi da Salvini e Di Maio con le loro comode trattative segrete su premiership e squadra di governo. “Ho atteso altri tre giorni per registrare novità pubbliche, esplicite e significative nel confronto con i partiti. Queste novità non sono emerse e dopo due mesi occorre fare presto per dare un governo all’Italia” è un frammento di colloquio tra i Presidente della Repubblica e il Presidente della Camera scappato fuori dalle porte blindate dello studio della Vetrata. Un refolo che è stato lasciato passare a dimostrazione di quanto sia “irritato” Sergio Mattarella.
Che così ha tolto dal tavolo la coalizione del centrodestra e ha messo a sedere il terzo arrivato, il Pd provando ad accendere quel forno rimasto finora rigorosamente spento e che difficilmente andrà a cottura nelle prossime 48 ore. C’era solo un modo per cambiare “le pietanze” a quel tavolo: dare al presidente Fico il mandato “stretto” uguale ma opposto a quello di Casellati. Esplorare il Pd, lasciando intendere che la verifica in casa centrodestra può considerarsi conclusa e, soprattutto, chiusa.
La speranza di un mandato “largo”
Non è un mistero che Forza Italia abbia tentato fino all’ultimo di persuadere il Capo dello Stato a dare un mandato largo a Fico. Un modo per prendere ancora tempo alla luce anche dei risultati delle elezioni in Molise che hanno visto il centrodestra sbaragliare i 5 Stelle – due settimane fa erano in testa di 12 punti – e dimostrare che Berlusconi può dare ancora le carte nella coalizione (il recupero è attribuito anche alla sua scesa in campo). Il Capo dello Stato non ha voluto però dare la sensazione di “aspettare” le urne del Molise e meno che mai quelle del Friuli (che dovrebbero invece fotografare la forza della Lega nell’ambito della coalizione) come da richiesta improvvida, poco rispettosa di un paese che vuole un governo e non vivere più una campagna elettorale perenne, di Salvini.
La minaccia di Salvini
La domanda oggi è quante probabilità di successo possa avere l’esplorazione di Fico che avrà tempi brevissimi. Difficile che ci siano due giri di consultazioni. Tutto dovrebbe concludersi oggi. Sullo sfondo resta la convinzione che in realtà il mandato a Fico “non avrà esito positivo” e “sia solo un altro modo per dare l’ultima chance alle due forze che sono arrivate prime, il centrodestra e i 5 Stelle”. Che sia l’ennesima mossa tattica del Quirinale per stanare una volta per tutte i vincitori del 4 marzo che non riescono a trovare una sintesi dei rispettivi veti: Di Maio mette il veto a Berlusconi, “aiutato” anche dalla “pietra tombale” della sentenza sulla “trattativa Stato-Mafia”; Berlusconi ha messo più di un veto ai 5 Stelle; Di Maio pretende la premiership. Prigionieri dei “No” e degli “Io”, siamo arrivati a oggi. Salvini ha reagito immediatamente. “E’ un mese che dico di smettere di litigare e di mettersi a sedere al tavolo del programma. Se non è così possiamo fare anche da soli” ha detto ieri in una delle tappe della campagna elettorale in Friuli lasciando intendere che “da soli” è l’asse giallo-verde Lega e 5 Stelle, in nome della quale in questi giorni sarebbero già stati spartiti incarichi e ministeri in vari incontri riservati. Da Forza Italia sono arrivati messaggi chiari: “Grande rispetto per Mattarella ma non si può prescindere dal centrodestra che è arrivato primo”.
Il ciaone di Di Maio
Negli stessi minuti Di Maio, che invece non può far altro che calarsi nel ruolo di chi sta per sedersi al tavolo con il Pd dove altrimenti potrebbe scalzarlo lo stesso Fico, sembra dare un bel ciaone al suo naturale interlocutore politico. “Non si dica che non c’ho provato fino alla fine, adesso buona fortuna” ha scritto in serata sul blog delle Stelle. “In questi giorni ho chiesto a più riprese a Matteo Salvini di sedersi al tavolo per discutere i termini del contratto di governo ma dal suo comportamento ho capito che non vuole assumersi responsabilità di governo”. Il capo politico 5 Stelle, che rischia di trovarsi bruciato tanto quanto Salvini e deve guardarsi le spalle dall’amico Fico, detta ancora prima di sedersi le sue condizioni per il tavolo con il Pd: “Quello che valeva per la Lega vale anche per il Pd: vogliamo un contratto di governo fatto a partire dal nostro programma e sulla base del documento di sintesi e compatibilità redatto dal professor Della Cananea”. Uno spiraglio a Salvini. Il biglietto da visita per il segretario del Pd Maurizio Martina. Che oggi, appena si metterà a sedere, chiederà al presidente Fico “se il forno con il centrodestra è definitivamente chiuso e spento”. Se è chiusa per sempre l’interlocuzione così complice degli ultimi due mesi e che ha portato all’occupazione quasi totale delle presidenze di Camera e Senato da parte di M5S e centrodestra. Perché una cosa deve essere chiara a tutti, spiegava ieri il vicepresidente della Camera Ettore Rosato: “Il Pd non è alternativo al centrodestra e, soprattutto, non può essere usato in modo strumentale per rilanciare altre alleanze”. La prima domanda sarà su questo e il problema sarà fidarsi della risposta. La seconda domanda la suggerisce Giacomo Portas (Pd): “Martina dovrebbe prima di tutto pretendere le scuse per tutto quello che ci hanno detto in questi anni”.
Pd, un passaggio insidioso
Il momento, dunque, è arrivato anche per il Nazareno che si avvicina all’incontro di oggi nel sospetto, condiviso in modo inversamente proporzionale a seconda della quota di renzismo, che “sia tutto e solo un gigantesco bluff”. I Democratici arrivano divisi all’incontro e nella tardo pomeriggio i pochi dem che si sono affacciati a Montecitorio non potevano nascondere che “il passaggio può essere per noi molto insidioso”. E’ arrivato quel famoso momento che il ministro Dario Franceschini, già la mattina del 5 marzo, definiva della “responsabilità di fronte alla chiamata di Mattarella”. E che Matteo Renzi liquidava nell’hastag #toccaaloro ripetuto anche la scorsa settimana nell’ultima enews e che ha avuto un largo seguito sui social nel popolo dei #senzadime. Così, se il presidente Matteo Orfini diceva “eravamo, siamo e resteremo alternativi ai 5 Stelle” e il capogruppo al Senato Marcucci aggiungeva “non ci sono le condizioni minime per una maggioranza politica Pd-M5s”, il segretario reggente Maurizio Martina si è detto “disponibile ad un confronto a partire da una questione fondamentale e prioritaria: la fine di ogni ambiguità e di trattative parallele con noi e con la Lega e con il centrodestra”.
Questione di numeri
“Le distanze non sono colmatili” è il refrain dei parlamentari vicini all’ex segretario che oggi sarà a Roma ma rigorosamente nel suo ufficio a palazzo Giustiniani. E ai dialoganti dem si ricorda che “per un’eventuale maggioranza Pd-M5s, servirebbe l’ok di tutti i deputati e di tutti i senatori dem”. Pd e M5s al Senato hanno 165 voti, troppo pochi per una navigazione certa visto che molti senatori Pd, ancora memori dello streaming del 2013, non accetterebbero il compromesso con i grillini e ciò dicono: “Noi andiamo al gruppo Misto”. Insomma, un’alleanza con i 5 Stelle comporta un elevato rischio scissione tra i dem. Diceva ieri Alessia Morani: “E’ doveroso rispettare tutti gli elettori, anche i nostri”. E Dario Parrini: “Sul piano programmatico esistono tra Pd e M5s distanze che paiono invalicabili”.
Il “contratto”
A proposito di distanze siderali nei programmi, giusto ieri mattina Luigi Di Maio ha pubblicato con quasi una settimana di anticipo la bozza del contratto elaborato per il Movimento 5 stelle dal comitato scientifico, coordinato dal professor Giacinto Della Cananea, un ccordo per il governo dell'Italia “tra Movimento 5 stelle e…”, seguito da 10 punti-priorità e spiegato in 28 pagine. Obiettivo del comitato era studiare punti di contatto e distanze tra il Movimento, la Lega e il Pd. Emergono entrambe: “In alcuni casi sussistono significative convergenze per quanto riguarda sia i fini sia i mezzi - si legge nella bozza - In altri casi le divergenze sono molto accentuate, se non radicali per quanto concerne i fini (per esempio nel modo di concepire il sistema pensionistico) o i mezzi (per esempio gli strumenti per contrastare la povertà e l'organizzazione della giustizia penale)”. I punti di contatto, e quindi base dell’ipotizzato Contratto, sono le politiche di sostegno ai giovani e alle famiglie (figli e persone a carico), riduzione degli squilibri territoriali, miglioramento delle infrastrutture e la promozione di opere di interesse collettivo. E poi “più sicurezza”, rilancio del servizio sanitario nazionale, meno burocrazia e semplificazione per combattere la corruzione e un nuovo rapporto tra cittadini e fisco.
Francamente, messa così, è una lista di buone intenzioni rintracciabile in ogni programma e a cui manca la parte fondamentale: l’attuazione. Per non parlare delle coperture finanziarie. Insomma, al di là di quanto può essere costata questa consulenza, è molto lontana da un contratto di alleanza politica. Soprattutto, assomiglia molto di più al programma elettorale del Pd che non a quello dei 5 Stelle. Di cui si sono perse le tracce. A cominciare dal Reddito di cittadinanza.
Se Di Maio pensa di partire da qua, chiedendo a Fico di veicolare la proposta al Pd, l’asse Nazareno-Casaleggio è già finito. Basta pazientare ancora 48 ore. Poi avremo tutte le risposte. E una soluzione. Altrimenti dopo c’è solo la strada del governo istituzionale.