Si allontana un governo Lega-M5S, le soluzioni di Mattarella e Di Maio che non sarà premier !!!
Il capo dello Stato punta a un incarico esplorativo e a seguire un governo di tutti. Cosa dirà la nuova Lega italiana?
Il 23 marzio, giorno della prima riunione delle assemblee legislative è dietro l'angolo. I passi da fare sono dettati dalla Costituzione: insediamento delle Camere, elezione dei presidenti e degli uffici di presidenza. Poi, presumibilmente a partire dal 4 aprile, prenderanno il via le consultazioni del capo dello Stato. Mattarella chiamerà al suo cospetto i neoeletti presidenti, gli ex presidenti della Repubblica, i senatori a vita e via via leader di partito e gruppi parlamentari. Il panorama è piuttosto offuscato: cosa farà Mattarella visto che, ad oggi, non sembra si intravvedano soluzioni? Tutti rivendicano una leadership di governo, ma nessuno ha la maggioranza per sostenerlo.
Si fa sempre più concreta l'ipotesi di un incarico esplorativo. Che Mattarella potrebbe affidare a Salvini, capo non incontrastato di un Centrodestra sull'orlo della frattura, dopo il precipizio nel quale Forza Italia è precipitata, oppure a Luigi di Maio capo del M5S al 32 per cento dei consensi. I numeri dicono che al Centrodestra vanno 264 deputati su 630 e 135 senatori su 315; al M5S 221 seggi a Montecitorio e 112 a Palazzo Madama. Pd 112 e 57, Leu 14 e 4. Tutti sono ben lontani dalla maggioranza assoluta.
L'incarico esplorativo non è una novità assoluta: Pierluigi Bersani nel 2013 lo ricevette (senza risultato), mentre anni prima Amintore Fanfani (1986) e un anno dopo Nilde Iotti, allora presidente della Camera, ebbero il compito di indagare con la delicatezza che l'alto incarico istituzionale impone, l'esistenza dell'ipotesi di una maggioranza al di fuori del pentapartito.
L'incarico esplorativo
Strada percorribile con alto grado di probabilità. Il gioco non sarà semplice, anche perché a fare da ago della bilancia ci sarà il Pd che, suo malgrado, è tirato per la giacchetta da una parte e dall'altra. L'ostacolo evidente è un senatore che siede a Palazzo Madama con tutto il suo bagaglio di rancore verso chi, all'interno del partito vuole che si faccia da parte, e verso chi "non lo ha capito" e quindi non lo ha votato. Matteo Renzi controlla molti senatori (m anche deputati), tanto da determinare una granitica incognita sull'operato futuro del Pd. L'ipotesi Matteo&Silvio, ormai non sembra più percorribile: La leadership di Salvini ha scompigliato le carte e il Pd Martina, non sembra contemplare ipotesi che "la base continuerebbe a non capire".
Ieri però il neo segretario ha aperto a accordi su singoli temi, senza ulteriori dettagli. E allora, se nomi e cognomi non se ne fanno, è giusto che Di Maio si giochi le sue carte. Proprio ieri ha aperto anche sulla sua squadra di governo che, ha assicurato, "non è definitiva". Si può discutere insomma e si possono studiare nomi condivisi, purché "di alto profilo", esattamente come nel caso della presidenza delle Camere, dove ha dichiarato di essere pronto a ostacolare nomi macchiati da condanne o indagini giudiziarie in corso.
Ma Mattarella è chiaro che il conto dei voti lo vuol fare prima. Perché un Di Maio o un Salvini che salgono al Colle e poi si presentano in Parlamento per essere bocciati scrivono nero su bianco il ritorno immediato alle urne. E con questa legge elettorale si esporrebbe il Paese a un'ulteriore fase di stallo perché la proroga dei poteri dell'attuale governo (con dentro Alfano, Boschi e Lorenzin) non è accettabile a lungo. L'Italia non è la Spagna.
Torna l'ipotesi del governo del presidente
E allora? Carlo Tecce del Fatto quotidiano la chiama "la carta disperata": un premier non incardinato nei partiti e un governo di tutti i colori. Almeno per fare la legge elettorale e portare avanti le incombenze più urgenti. Poi si vedrà. Un'obiezione: Mattarella - lo abbiamo scritto in passato - non è uomo che vuol prendersi responsabilità non sue. Piuttosto intende applicare il dettato della Carta con chiarezza lasciando al Parlamento il carico di responsabilità che gli compete: i numeri devono venire fuori dagli accordi tra i partiti. Però il Colle può mettere in campo diplomazia e persuasione perché le forze politiche confluiscano su un governo guidato da una personalità di rango, con dentro Di Maio, Martina, Berlusconi e Leu, con Salvini a fare da oppositore oppure a sostenere una non-fiducia. Cioè: al momento del voto di fiducia al Senato, dove i voti sono più risicati, Salvini e i suoi escono abbassando il quorum.
E l'ipotesi Di Maio-Salvini insieme per un governo su temi e progetti? Per ora la strada non sembra percorribile. Tutti sembrano remare contro. A cominciare dall'Unione Europea, particolarmente attenta alle sorti politiche italiane. Sono proprio le alte istituzioni comunitarie a temere che il Belpaese diventi l'avanguardia della destra nel continente. E Mattarella, come detto, non sembra propenso a prendersi sovra-responsabilità. Con buona pace di tutti, a decidere saranno i numeri in Parlamento.