La svolta di Salvini e Di Maio: bye bye Mattarella.
I due leader chiudono all’ipotesi del governissimo con dentro tutti i partiti accarezzata dal Quirinale. E dicono: “Torniamo pure a votare” Tutta e solo tattica. Intanto trattano sulle presidenze di Camera e Senato. La Lega vorrebbe palazzo Madama, la seconda carica dello Stato. Una parte del Pd, molto piccola, convinta che una presidenza debba andare alle opposizioni.
Alla fine, dieci giorni il voto, Luigi Di Maio e Matteo Salvini “convergono”. Non su un patto politico, però. Ma nel dire al Capo dello Stato, “caro Presidente, il governissimo non è roba per noi”. Non ci stanno a dare vita ad un governo del tutti-dentro per dare al Paese almeno quelle risposte urgenti che aspetta dopo il 4 marzo, come il Def, la manovra e una nuova legge elettorale. E sul tabellone del Risiko dove si gioca lo stallo del post voto, le pedine tornano alla casella del “Via”. Tutte le ipotesi restano in piedi, a cominciare dal ritorno alle urne. Scenario che Mattarella farà di tutto pur di evitarlo.
Porte chiuse al Colle
I dadi si muovono in fretta ma a vuoto. Dopo il “no, grazie” del segretario reggente del Pd Maurizio Martina, forte di una mozione votata all’unanimità lunedì dalla Direzione del partito, i due vincitori delle politiche si smarcano dalla tela di responsabilità e saggezza che Mattarella tesse con pazienza dal Quirinale. C’è ancora tempo prima dell’avvio delle consultazioni (3 aprile?), tre settimane in cui può accadere di tutto. Ma ieri entrambi i leader hanno seccamente chiuso le porte in faccia al Capo dello Stato. “Non ho le smanie di andare al governo con chiunque: se per farlo devo portare chi è stato bocciato al voto, allora no” ha detto ieri Salvini salutando in mattinata l’Europa e il seggio di Strasburgo a modo suo: mai con il Pd, subito la flat tax sfottendo il tetto del 3 per cento, lotta dura agli immigrati. E se non fosse chiaro da che parte sta, il leader della Lega ha pubblicato un selfie con il leader dell’Ukip Nigel Farage.
Passano poche ore e analogo messaggio arriva da Luigi Di Maio, ospite di una affollatissimo incontro con i giornalisti stranieri presso la sede della Stampa estera. “Non contempliamo alcuna ipotesi di governo istituzionale o governo di tutti: gli italiani hanno votato un candidato premier e un programma” ha messo in chiaro il capo politico dei 5 Stelle. “Non siamo disponibili a immaginare una squadra di governo diversa da quella espressa dalla volontà popolare” ha aggiunto precisando che “le forze politiche, dell’una e dell’altra parte, non fanno altro che parlare di se stesse mentre il debito, la disoccupazione, la tassazione delle imprese e la disoccupazione giovanile non aspettano le liti di partito”.
Premier e squadra “blindate”
Insomma, da una parte c’è Salvini che sarebbe disposto anche al “passo di lato pur di vedere andare avanti i punti del programma”. Dall’altra c’è Di Maio che, al contrario, blinda la premiership e la squadra (comprensibile visto che il limite del secondo mandato metterebbe fuori gioco Di Maio e almeno un centinaio di eletti) ma sarebbe disposto a rivedere i punti del programma pur di trovare un percorso comune. Nessuno dei due, visto che hanno vinto le elezioni, fa l’unica cosa sensata: valorizzare quel tanto nel programma che li unisce, contarsi per cercare la maggioranza e far partire la legislatura. La seconda cosa sensata sarebbe cercare maggioranze larghe e allargate per un governo di responsabilità. Preferiscono invece brandire l’arma del ritorno alle urne. “A noi non fa paura, anzi, a quel punto la volontà degli italiani sarà ancora più netta ed esplicita” ha precisato Di Maio alla stampa estera. Salvini ha la zavorra di Forza Italia perchè Berlusconi farà di tutto per non tornare al voto temendo di essere mangiata dalla Lega (un po’ lo stesso timore che potrebbe avere il Pd rispetto ai 5 Stelle). Ma anche per il leader padano le urne restano la prospettiva “più naturale e vincente”.
“Di Maio? Un premier non rivoluzionario”
Un’ora e mezzo di domande e risposte nella bella sede della Stampa Estera in via dell’Umiltà. Alla fine sui bloc notes dei giornalisti stranieri restano pochi ma chiari concetti. “Sembra molto sicuro di sé, ha risposte standard su tutto e dice di essere pronto a nuove elezioni” osserva Lisa Palmieri Billig del Jerusalem post. Simon, giornalista di un settimanale norvegese, mette in fila: “Di Maio vuol governare, su questo è stato chiaro. Ma non spiega come e con quali mosse visto che c’è stallo. Allora siamo sicuri che vuole governare?”. Simon racconta che nel suo paese c’è molta curiosità per “questa forza populista italiana di cui sappiamo molto poco”. Ma una cosa lo ha colpito più delle altre: “Per Di maio è molto importante non risultare rivoluzionario, anzi lui ci ha detto in tutti i modi di essere moderato”. Il capo politico ha spiegato di “voler restare nella Ue, nella Nato e di voler impostare la politica estera italiana all’insegna delle relazioni con tutti i paesi dell’area mediterranea”. Per la Libia, ad esempio, cercherà, come prima cosa, di “organizzare una conferenza di pace in Italia”. Di sicuro molto meglio di quando, pochi mesi fa, proprio Di Maio spiegava che “la soluzione per la Libia potrebbe arrivare dal presidente del Venezuela Nicolas Maduro”. Ma sarebbe troppo lungo spiegare al collega norvegese quante cose sono cambiate nel Movimento in 5 anni. Anche solo da agosto scorso… Oggi una giornalista russa sorride a Di Maio e gli fa notare “la giovane età”. Lui sorride molto compiaciuto. Anche questo non sarebbe successo. E, per fortuna, ora succede. “Di Maio democristiano?” scherza la giornalista tedesca di Focus.
Assaggi di larghe intese
I rapporti Lega e 5 Stelle sono comunque assai migliori di quelli Lega-Pd. Lo sono stati anche negli anni della legislatura, il flirt con Putin e la Russia è stato praticamente un triangolo. Ecco che, al di là delle rispettive minacce e prese di distanza, sarebbero già in corso trattative per le presidenze di Camera e Senato. Di Maio spiega che “un eventuale accordo sulle cariche istituzionali non deve essere confuso con un accordo politico per fare il governo”. E’ la conferma che emissari dei due gruppi stanno lavorando per trovare la quadra. Anche perché, fa notare un eletto 5 Stelle, “il Parlamento, una volta eletti i Presidenti e formati i gruppi, può funzionare”. E legiferare. Fare la legge elettorale, ad esempio?
Le Presidenze
In una prima versione, alla presidenza del Senato doveva andare Toninelli che però è già stato nominato capogruppo a palazzo Madama. Alcuni grillini hanno fatto notare che il Regolamento del Movimento impedisce tassativamente il cumulo delle cariche. Toninelli farà dunque il capogruppo e basta.
Un 5 Stelle alla guida del Senato, lascerebbe pensare ad uno schema in cui Salvini o un altro nome del centrodestra avrà l’incarico come premier e che alla coalizione sarà affidato il primo incarico esplorativo.
Un altro schema vede i grillini, che sono i più votati, alla guida del Senato (la seconda carica dello Stato) e il centrodestra alla Camera. Inutile dire che girano vari nomi. Al Senato a 5 Stelle potrebbe arrivare il senatore Crimi. Se invece a palazzo Madama dovesse andare l’azzurro Paolo Romani (quotato anche Roberto Calderoli; alla Camera Giorgetti o Carfagna) , ecco che ai 5 Stelle toccherebbe la Camera. Del tutto residuale l’ipotesi che qualcuno nel Pd possa avere, in quanto opposizione, la presidenza della Camera. Un retaggio della prima repubblica e dei sistemi proporzionali. La rosa dei candidati per la Camera a 5 Stelle prevede Carelli, Fico e Roberto Fraccaro. Il primo e il terzo sono fedelissimi di Di Maio. Fico è quel poco che resta, in Parlamento, degli ortodossi grillini, i cosiddetti duri e puri. Si dice tanto delle segreterie dei partiti, ma anche Di Maio non ha scherzato quando ha fatto le liste.
“Le Presidenze delle Camere non son legate a dinamiche di governo” ripete Di Maio. Vero, basta ricordare cosa accadde con Grasso e Boldrini: Bersani li indicò, con successo, pensando che sarebbero stata la sua assicurazione per la fiducia. Finì tutto, invece, e male, in uno streaming.
15 Marzo 2018