La faticosa riqualificazione degli allevatori mondiali di polli
(Il tentativo N. 439 di esortare i più forti, perché possano riuscire a condurre Tutti sulla retta via)
Dopo la sbornia di giovanilismo, vero e posticcio, un po’ di “sale e pepe”, quel grigio nei capelli che per solito si accompagna all’esperienza e alla misura, non guasta. A cinque giorni dal voto, il Pd fa un tagliando politico a quello che è stato fatto e a quello che dovrà essere. E mette sul palco di un teatro romano, la domenica mattina, uno dei fondatori, Walter Veltroni, e il premier in carica e candidato Paolo Gentiloni a “dialogare” sul passato, sul voto e sulle prospettive. Due teste “sale e pepe”, appunto, che sanno far discutere, commuovere, rimpiangere, sperare. Dopo quello di Prodi e Napolitano, arriva così anche l’endorsement di Veltroni a Paolo Gentiloni che è “nelle cose della nostra vita e non serve esplicitarlo”.
Chi immaginava, sotto sotto anche sperava, che da quel palco potesse arrivare un segnale chiaro di superamento rispetto alla stagione di Matteo Renzi, è rimasto deluso: la continuità con segretario è stata rivendicata e condivisa in alcuni passaggi; in altri la critica è stata dura. Ma sempre costruttiva e declinata al plurale.
E’ rimasto deluso, infatti, anche chi pensava di andare a uno dei tanti comizi/eventi elettorali dove più o meno va tutto bene e, soprattutto, andrà ancora meglio. E se bisogna cercare parole chiave per raccontare due ore di dibattito alto, la scelta cade su “umiltà”, “disagio sociale”, “qualità del lavoro” dopo la quantità, “paura”, “ecologia”, “battaglia contro la corruzione”. Sono le critiche che Veltroni muove al “suo” Pd. Sono i temi da cui il Pd deve ripartire perché in parte trascurati in questi anni. Forte però, ribatte Gentiloni, della “credibilità” di cinque anni di governo, preoccupandosi della “cura” delle persone, diventando portatore di “speranza”.
E’ la terza volta in pochi mesi che il Pd si ritrova all’Eliseo: la festa per i 10 anni; la presentazione dei candidati; l’incontro di ieri mattina con il candidato Paolo Gentiloni a tu per tu con il fondatore Veltroni. Scenografia ridotta all’osso, un leggio trasparente, una poltroncina solo per tre quarti rivolta al pubblico, luci basse, neppure una colonna sonora. Di sicuro non c’è la bibbia su cui ha giurato Salvini né i contratti con gli italiani da firmare in qualche talk show televisivo. All’Eliseo prevale lo stile.
Al leggio va per prima il ministro per la Funzione Pubblica Marianna Madia ed è lei che individua le prime due parole chiave: “disagio sociale” e “umiltà”. “Dobbiamo - dice - parlare di più e meglio a chi ha paura di scivolare sempre più in basso, a chi vive il disagio sociale, dobbiamo avere l’umiltà di chiedere un abbraccio al Paese perché i freddi numeri non bastano più a chi ha paura”. Anche per il candidato Luigi Zanda, capogruppo al Senato in questi cinque difficilissimi anni, il palco è occasione di orgoglio (“la nostra è stata un’azione di governo riformatrice”) e di rimpianti, uno su tutti: la mancata approvazione dello ius soli. Per la prima volta racconta come sono andate le cose: “Ho chiesto a tutti, per mesi, ho bussato le porte di tutti i gruppi. Ci mancavano 35 voti. Era necessaria la fiducia per via di migliaia di emendamenti. Il governo non avrebbe quindi avuto la fiducia”. Da qui l’appello: “Per governare serve forza politica, servono i numeri e le maggioranze. E’ incredibile come siamo andati avanti in questi cinque anni…”.
Veltroni divide in due il suo intervento. Sono 18 cartelle scritte, segno che ogni parola che esce dal teatro deve essere pesata e precisa. Non soggetta a fraintendimenti. La prima parte è un “elogio della politica”. La seconda è “l’elogio del Pd, nato dieci anni fa ma dieci anni in ritardo perché il Pd doveva essere la naturale prosecuzione dell’esperienza dell’Ulivo (1996-2001), un sogno che non deve essere confuso con l’incubo dell’Unione (2006-2008)”. E’ nel secondo elogio che Veltroni fa un’analisi che è un avvertimento e quindi una critica. “Mi preoccupa l’affermazione molto diffusa per cui la sinistra è in difficoltà soprattutto dove è più forte il disagio sociale e più gravi sono le condizioni di vita delle persone, nel sud, nelle periferie tra i disoccupati. Spero non sia così - dice Veltroni mentre Gentiloni, seduto accanto, non lo perde di vista un attimo - ma se è così non va bene perché la sinistra non esiste senza il popolo, senza la febbre di combattere angolo per angolo ogni ingiustizia e ogni discriminazione. Quanto nacque, il Pd ottenne il massimo dei voti proprio nelle periferie”.
Strappa molte volte l’applauso, Veltroni. Qualcuno, in platea, si commuove. Chiama all’appello l’orgoglio del Pd, “un approdo e non un passaggio nella storia della sinistra italiana. C’è la vicenda di milioni di persone dietro questa realtà. Nasce con i Movimenti per le terre, con il solidarismo cattolico e il cooperativismo socialista, con la collaborazione nella Resistenza, che non fu di un solo colore, con la grandezza dell’azionismo e del socialismo liberale, con le lotte comuni per la pace nel Vietnam, con il rifiuto unitario del terrorismo. Le culture democratiche di questo Paese erano imbrigliate dall’esistenza dei muri. Quando caddero fu come se per la prima volta potessimo vederci negli occhi e ritrovarci: quelle culture e le nuove emerse dopo il ’68, quella dei diritti civili, delle donne, quelle ambientalista. L’idea originale e originaria del Pd era di affondare in quelle radici ma essere al contempo qualcosa di più”. C’è una domanda implicita in tutto l’intervento: Il Pd ha rispettato o rinnegato quelle radici?
La parte d’intervento di Veltroni dedicata all’elogio della politica può essere diviso in tre blocchi. Il primo: la specificità del voto di domenica prossima. “Non so - dice Veltroni - se siamo coscienti della radicalità del passaggio che stiamo vivendo. Non vorrei che noi figli della democrazia e della libertà, le dessimo entrambe per scontate”. La sinistra e il Pd “non possono accettare che un ragazzo o una ragazza vengano pagati 33 centesimi l’ora perché se lo fanno lasceranno campo alla destra. Quella estrema e che oggi non esita nemmeno più a definirsi fascista”. Sta già succedendo in molte periferie. Certamente nel sud.
Il secondo blocco riguarda la governabilità e la stagione delle riforme, un’occasione sprecata. Veltroni cita più volte Renzi. Il segretario “ha sempre insistito su un concetto fondamentale che mi appartiene: chi vince governa e chi perde si prepara a sostituirlo. Il referendum è stato perso malamente ma la stagione delle riforme, di chiarire i diritti dell’esecutivo e ridare dignità alla politica, restano in piedi”. I trasformismo di questa legislatura con oltre 500 cambi di casacca, è stato “ributtante”.
Che succede ora? Veltroni non ha dubbi perché “il governo non può essere territorio di pasticci”. Quindi, se non ci sarà un vincitore, “si faccia un governo per fare una legge elettorale e poi si torni al voto e si faccia una legge che dia la sicurezza che la sera del voto si sa chi ha vinto. Cito ancora una volta Renzi e me stesso”. Nessun inciucio, dunque, né governo larghe intese, meno che mai del “Presidente” visto, tra l’altro, che Mattarella odia questa espressione. Solo, eventualmente, un governo di “scopo”, la legge elettorale, perché “Berlusconi è e resterà il leader della principale forza a noi avversaria”.
In chiusura l’appello alla sinistra divisa. Analisi amara: “In molti collegi la scissione farà vincere il centrodestra, succederà il Lombardia dove vincerà chi ha parlato di “razza bianca”; non succederà nel Lazio”. Poi l’appello ai delusi, a chi vorrebbe non andare a votare. “Non ho il mito della sinistra unita ad ogni costo. Ma conosco la vita e la storia di molte delle persone che hanno lasciato il Pd e non necessariamente per andare in altre formazioni. Persone che oggi sono agli angoli, magari deluse, incerte. A loro dico, chiedo: non disperdetevi, non state a guardare anche se siete delusi, se avete rabbia e c’è qualcosa che non vi piace. Aiutate questo paese a non perdersi”.
Non è facile prendere la parola dopo tre minuti di applausi e standing ovation. Gentiloni lascia la poltroncina a Walter e prende posto al leggio. Ringrazia Veltroni “per il suo senso di comunità e lo spirito di coesione”. Ne condivide le preoccupazioni e mette in guardia dai rischi connessi a un Pd poco presente tra gli esclusi. “Se non facciamo attenzione - ammette Gentiloni - il disagio sociale degli esclusi rischia di cambiare direzione e di prendere strade incredibili per noi come andare ad alimentare il motore dei nazionalismi e delle visioni negative”. L’analisi di Gentiloni va oltre: “L’obiettivo non è il Pd ma abbattere un modello di società aperta, un certo tipo di welfare, un sistema di diritti, i dialogo con gli stranieri. Per la prima volta - avverte - esiste un’offerta politica radicalmente diversa alla nostra”. Per questo, anche se viene detto sempre e ogni volta, “questa volta fidatemi di me, è molto, molto, ma veramente molto importante andare a votare”. Sorrisi.
Per gli altri 20 minuti sui 30 a disposizione, però, Gentiloni rivendica il lavoro fatto “perché in una legislatura che era partita malissimo, siamo riusciti a dimostrare di essere credibili e affidabili, una sinistra di governo”. L’economia in ripresa stabile, la nuova spinta per i consumi, le nuove politiche sull’immigrazione adesso condivise anche, un po’ alla volta, dall’Europa. “Ma insomma, qui si tratta di scegliere tra Minniti o Salvini al Viminale, tra Padoan o Di Battista all’economia”.
Quindi, caro Walter, “il Pd non è un abito fuori stagione ma è proiettato nel futuro” con risultati e idee chiare a cui le altre forze politiche rispondono con una specie di “fiera dei miracoli”.
Il Pd, soprattutto, “ha nel suo Dna l’obiettivo di governare per migliorare il paese”. Gentiloni non ha dubbi: serve “una nuova stagione di riforme per affrontare nuove sfide: dobbiamo puntare alla qualità del lavoro più che alla quantità; ai giovani e alle donne, alla precarietà ma per carità, non diamo colpa al job’s act, all’ambiente, alle forze dell’ordine alle periferie e alla sanità”.
Quella di Gentiloni è quasi un’autocandidatura alla premiership. Che esclude “convergenze con populisti ed estremisti”. Sarà ancora più chiaro in serata ospite della D’Urso: “Fino a domenica sono essenziale, poi decideranno gli elettori. Io mi auguro che diano alla coalizione di governo la possibilità di continuare”.
L'opinione di Hominibus
I POLITIC...ONI: “Sono il peggiore asset per il Genere Umano del 3° Millennio !!!”
Insomma, ...
"Non si può risolvere un problema con
lo stesso modo di pensare
che lo ha creato !"
(Einstein)
E' necessario cambiare radicalmente metodo, come è indicato in
(in costruzione ed in associazione, attendendo l'occasione delle prossime elezioni)
Hominibus propone cose giuste, facili da fare,
sicuramente in nome di una idea onesta
per una società del 3° Millennio.
Traduciamola in realtà!
L'ITALIA
La prima Nazione nel Mondo
con il sistema fiscale patrimoniale,
anzi, condominiale, e la libera circolazione
della ricchezza finanziaria, grande risorsa sociale!
Dunque, stare insieme, ma da pari, in un grande...
STATO CONDOMINIALE
con un Parlamento Popolare
per consentire finalmente la partecipazione diretta di tutti i Cittadini,
che avranno ruolo attivo, anche amministrativo, all'insegna del binomio ...
MERCATO & FISCO PATRIMONIALE
in Italia entro il 2020, in Europa entro il 2030, nel Mondo entro il 2050 !
Egregi Signori, Voi che potete influenzare le coscienze,
aiutatele ad accettare il fisco condominiale che risolve
non solo la corretta ripartizione delle spese comuni,
ma serve a favorire la libera circolazione della
ricchezza finanziaria mondiale, annullando
il forte richiamo dei paradisi fiscali,
facili ricoveri, generati dalla
connivenza politica.
Roma, 26 Febbraio 2018
Hominibus
Movimento di opinione per la costruzione di una società onesta,
che riconosca finalmente i diritti della maggioranza delle popolazioni mondiali,
vessate da politiche vergognosamente favorevoli alle classi benestanti, sempre peggio rappresentate