Così i rimpalli tra Roma e le autorità europee
hanno innescato la crisi dei due istituti di credito
di Vittorio Malagutti -
L'Espresso - 9 Luglio 2017
Tenetevi
forte e allacciate le cinture , perché il racconto che segue
è pieno di curve pericolose e improvvise inversioni di
marcia. Una storia di risparmi bruciati, di azionisti sul
lastrico e di migliaia di dipendenti destinati a perdere il
posto di lavoro. C’è dell’altro però, e forse di peggio,
nella vicenda molto italiana dei crack bancari.
Dopo tre anni di crisi, dissesti e salvataggi all’ultimo
respiro è infine andata in fumo la fiducia degli
investitori, (quel che ne restava) nelle autorità chiamate a
sorvegliare il mondo della finanza. Il naufragio ha messo
alla berlina i politici di governo: da Roma fino ai
commissari di Bruxelles. E i tecnici, cioè Bankitalia e la
Bce di Francoforte.
Se la certezza del diritto è l’ingrediente fondamentale che
tiene insieme un sistema economico, e quindi il mercato,
bisogna essere davvero degli inguaribili ottimisti per
individuare dei punti fermi nelle decisioni, spesso
contraddittorie tra loro, che hanno scandito i recenti
interventi nelle banche in crisi. Mesi, a volte anni, di
colpevole distrazione hanno preceduto forsennate corse
contro il tempo, in cui authority e regolatori sembravano
impegnati più che altro a scongiurare gli effetti delle
norme da loro stessi ideate e approvate.
Che dire, per esempio, della vicenda di Popolare Vicenza e
Veneto Banca, al centro di un’inquietante rimpallo tra
Francoforte, Roma e Bruxelles? Ancora all’inizio dell’anno i
due istituti venivano considerati di “rilevanza sistemica”
dai controllori della Bce, cioè tali da provocare “forti
perturbazioni all’economia del Paese” in caso di crack. A
giugno però le stesse banche sono state infine retrocesse
alla categoria di operatori di importanza regionale.
Come si spiega la giravolta? A un certo punto, un paio di
mesi fa, si è capito che nessun privato in Europa o altrove
era disposto a farsi carico del rilancio dei due istituti
con i conti a pezzi. E, in mancanza di investitori pronti a
sottoscrivere nuovo capitale, la “rilevanza sistemica” delle
due popolari avrebbe spalancato la porta al cosiddetto “bail
in”. Quest’ultimo sarebbe piombato come un macigno sui
risparmi degli azionisti di Popolare Vicenza e Veneto Banca,
dei sottoscrittori di tutte le categorie di obbligazioni
(non solo le subordinate) e dei depositi oltre i 100 mila
euro. Evidentemente, il prezzo politico da pagare per questo
falò dei risparmi è stato giudicato troppo elevato, a
maggior ragione in una fase in cui tutti i partiti si stanno
preparando alle elezioni. In sostanza, Roma non poteva
permettersi nuove polemiche e ha chiesto un paracadute.
L’Europa ha accettato ed ecco che i rischi sistemici sono
magicamente scomparsi.
Quindi niente risoluzione secondo le norme europee. Niente
bail in. Lo dice Francoforte. Bruxelles approva. E nel
weekend del 25 giugno il governo italiano partorisce in
poche ore un decreto che apre le porte all’intervento del
cavaliere bianco Intesa, finanziato e garantito dallo Stato.
Il tutto nell’ambito di una liquidazione coatta regolata dal
diritto italiano. Gli obbligazionisti senior, la categoria
più numerosa, sono salvi. Pagano i soci, peraltro già
rassegnati a perdere quasi per intero il loro investimento
dopo l’aumento di capitale dell’anno scorso. E restano in
mezzo al guado anche i detentori di bond subordinati, che
potranno accedere a un apposito fondo di tutela, ma solo in
pochi, delimitati, casi. Ce n’è abbastanza per innescare
nuove polemiche sui risparmiatori sedotti (dalle banche) e
abbandonati (dal governo).
Certo, poteva andare peggio, molto peggio. «Senza
l’intervento deciso nei giorni scorsi, le due banche
avrebbero immediatamente sospeso tutti i servizi», argomenta
il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. E i prestiti
alle piccole imprese e all’artigianato, sostiene ancora
Padoan, «sarebbero stati particolarmente colpiti». Il
salvataggio pubblico ha mobilitato risorse per un totale di
circa 17 miliardi di euro. Questi soldi sono stati in parte
girati a Intesa per neutralizzare l’impatto nel bilancio
della doppia acquisizione (4,8 miliardi) e per finanziare
(400 milioni) la ristrutturazione delle attività, cioè tagli
di personale e chiusura di sportelli.
La vera partita, quella che determinerà l’esborso reale a
carico dello Stato, e cioè dei cittadini contribuenti, si
gioca però sui crediti a rischio. Il governo conta di
recuperare almeno 9,9 miliardi sui 17,8 miliardi di “non
performing loans” (npl) segnalati nei conti delle due banche
del Nordest. In altre parole, nell’arco dei prossimi anni
l’incasso per le finanze pubbliche dovrebbe raggiungere
almeno il 55 per cento del valore originario del prestito.
La riflessione
di Hominibus
Ecco uno straordinario esempio di
danno politico!
Quello che
accade in questi giorni fa chiarezza sulle aspirazioni reali
delle attività
politiche che denunciano una netta prevalenza degli interessi
personali sulle
esigenze oggettive dei cittadini rappresentati, dando motivazione
fondamentale
all'urgente riforma dei meccanismi di delega solo come 'extrema ratio''.
Cari Politici di
tutto il Mondo, è sempre più vicino ed opportuno il momento magico per...