La faticosa riqualificazione degli allevatori mondiali di polli

(Il tentativo N. 396 di esortare i più forti, perché possano riuscire a condurre tutti sulla retta via

 

Come è nata la catastrofe delle banche venete.

Controllori distratti. Ritardi. Decisioni contraddittorie.

Così i rimpalli tra Roma e le autorità europee hanno innescato la crisi dei due istituti di credito

Come è nata la catastrofe delle banche venete

di Vittorio Malagutti    - L'Espresso - 9 Luglio 2017

Tenetevi forte e allacciate le cinture , perché il racconto che segue è pieno di curve pericolose e improvvise inversioni di marcia. Una storia di risparmi bruciati, di azionisti sul lastrico e di migliaia di dipendenti destinati a perdere il posto di lavoro. C’è dell’altro però, e forse di peggio, nella vicenda molto italiana dei crack bancari.

Dopo tre anni di crisi, dissesti e salvataggi all’ultimo respiro è infine andata in fumo la fiducia degli investitori, (quel che ne restava) nelle autorità chiamate a sorvegliare il mondo della finanza. Il naufragio ha messo alla berlina i politici di governo: da Roma fino ai commissari di Bruxelles. E i tecnici, cioè Bankitalia e la Bce di Francoforte.

Se la certezza del diritto è l’ingrediente fondamentale che tiene insieme un sistema economico, e quindi il mercato, bisogna essere davvero degli inguaribili ottimisti per individuare dei punti fermi nelle decisioni, spesso contraddittorie tra loro, che hanno scandito i recenti interventi nelle banche in crisi. Mesi, a volte anni, di colpevole distrazione hanno preceduto forsennate corse contro il tempo, in cui authority e regolatori sembravano impegnati più che altro a scongiurare gli effetti delle norme da loro stessi ideate e approvate.

Con 318 sì, 178 no e 1 astenuto è passato il voto di fiducia posto dal governo sul decreto legge relativo alle banche venete. A causa dell'ostruzionismo dei deputati del M5s, che hanno presentato 83 ordini del giorno, è probabile però che l'approvazione definitiva del provvedimento slitti di un giorno - video di Francesco Giovannetti

Che dire, per esempio, della vicenda di Popolare Vicenza e Veneto Banca, al centro di un’inquietante rimpallo tra Francoforte, Roma e Bruxelles? Ancora all’inizio dell’anno i due istituti venivano considerati di “rilevanza sistemica” dai controllori della Bce, cioè tali da provocare “forti perturbazioni all’economia del Paese” in caso di crack. A giugno però le stesse banche sono state infine retrocesse alla categoria di operatori di importanza regionale.

 
Come si spiega la giravolta? A un certo punto, un paio di mesi fa, si è capito che nessun privato in Europa o altrove era disposto a farsi carico del rilancio dei due istituti con i conti a pezzi. E, in mancanza di investitori pronti a sottoscrivere nuovo capitale, la “rilevanza sistemica” delle due popolari avrebbe spalancato la porta al cosiddetto “bail in”. Quest’ultimo sarebbe piombato come un macigno sui risparmi degli azionisti di Popolare Vicenza e Veneto Banca, dei sottoscrittori di tutte le categorie di obbligazioni (non solo le subordinate) e dei depositi oltre i 100 mila euro. Evidentemente, il prezzo politico da pagare per questo falò dei risparmi è stato giudicato troppo elevato, a maggior ragione in una fase in cui tutti i partiti si stanno preparando alle elezioni. In sostanza, Roma non poteva permettersi nuove polemiche e ha chiesto un paracadute. L’Europa ha accettato ed ecco che i rischi sistemici sono magicamente scomparsi.

Quindi niente risoluzione secondo le norme europee. Niente bail in. Lo dice Francoforte. Bruxelles approva. E nel weekend del 25 giugno il governo italiano partorisce in poche ore un decreto che apre le porte all’intervento del cavaliere bianco Intesa, finanziato e garantito dallo Stato. Il tutto nell’ambito di una liquidazione coatta regolata dal diritto italiano. Gli obbligazionisti senior, la categoria più numerosa, sono salvi. Pagano i soci, peraltro già rassegnati a perdere quasi per intero il loro investimento dopo l’aumento di capitale dell’anno scorso. E restano in mezzo al guado anche i detentori di bond subordinati, che potranno accedere a un apposito fondo di tutela, ma solo in pochi, delimitati, casi. Ce n’è abbastanza per innescare nuove polemiche sui risparmiatori sedotti (dalle banche) e abbandonati (dal governo).

Certo, poteva andare peggio, molto peggio. «Senza l’intervento deciso nei giorni scorsi, le due banche avrebbero immediatamente sospeso tutti i servizi», argomenta il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. E i prestiti alle piccole imprese e all’artigianato, sostiene ancora Padoan, «sarebbero stati particolarmente colpiti». Il salvataggio pubblico ha mobilitato risorse per un totale di circa 17 miliardi di euro. Questi soldi sono stati in parte girati a Intesa per neutralizzare l’impatto nel bilancio della doppia acquisizione (4,8 miliardi) e per finanziare (400 milioni) la ristrutturazione delle attività, cioè tagli di personale e chiusura di sportelli.

La vera partita, quella che determinerà l’esborso reale a carico dello Stato, e cioè dei cittadini contribuenti, si gioca però sui crediti a rischio. Il governo conta di recuperare almeno 9,9 miliardi sui 17,8 miliardi di “non performing loans” (npl) segnalati nei conti delle due banche del Nordest. In altre parole, nell’arco dei prossimi anni l’incasso per le finanze pubbliche dovrebbe raggiungere almeno il 55 per cento del valore originario del prestito.

Se lo Stato, che ha affidato la riscossione alla società pubblica Sga, riuscirà nell’impresa, allora gli oneri a carico del Tesoro potrebbero finire per ridursi nell’ordine del miliardo o forse anche meno. Molti analisti però considerano a dir poco velleitario il piano annunciato dal governo, che si affida ai calcoli di Bankitalia. Secondo i tecnici del governatore Ignazio Visco, quota 55 è raggiungibile perché la massa dei crediti deteriorati potrà essere gestita dallo Stato mediante «un approccio paziente». Gli operatori privati attivi in questo settore puntano invece a realizzare profitti nel breve termine. La soglia del 55 per cento appare comunque molto elevata, almeno alle attuali condizioni di mercato. Il traguardo potrebbe diventare abbordabile solo se nei prossimi anni l’economia dovesse crescere a ritmi molto più sostenuti di quelli attuali.

Il rischio che l’intera operazione si risolva in un flop miliardario a carico delle finanze pubbliche resta quindi tutt’altro che remota. E questi ipotetici oneri futuri andrebbero ad aggiungersi all’esborso per l’aumento di capitale indispensabile per salvare dal crack il Monte dei Paschi. Anche in questo caso, come è successo nelle settimane scorse per le banche venete, l’operazione è andata in bianco a fine 2016 per mancanza di investitori disposti a scommettere sull’istituto senese. Qui però sarà lo Stato direttamente a prendere una quota del capitale del 70 per il cento, sborsando 5,4 miliardi.

Missione compiuta, può quindi affermare il ministro Padoan. Mps non è andato in liquidazione. Le “forti perturbazioni dell’economia” sono state evitate, anche se a pagare il conto saranno ancora una volta azionisti e titolari di obbligazioni subordinate. Questi ultimi vedranno praticamente azzerato il loro investimento, a meno che non riescano a dimostrare di essere stati vittime di pratiche commerciali scorrette, il cosiddetto misselling, da parte di Mps. L’eventuale rimborso sarà finanziato dallo Stato con una spesa massima prevista di 1,5 miliardi.
Il film delle crisi bancarie andrebbe però esaminato per intero. Non basta valutare le ultime inquadrature, giusto quelle che precedono i titoli di coda. E allora è sufficiente tornare indietro di qualche mese per trovarsi nel mezzo di un horror finanziario, una trama in cui le scelte dei manager e delle autorità, di controllati e controllori, appaiono in molti casi davvero difficili da giustificare.

A Vicenza, per esempio, l’esercito dei soci della Popolare, decine di migliaia di investitori nelle province del Veneto, oltre 110 mila in tutta la Penisola, si era convinto che una pulizia dei conti drastica e veloce avrebbe potuto salvare la banca dal naufragio. Facile, sulla carta. Nei primi mesi dell’anno scorso si è però scoperto che nessuno era disposto a investire sul rilancio. L’aumento di capitale varato ad aprile del 2016 rischiava di andare deserto e per evitare il flop si è montata in fretta e furia l’operazione Atlante, il fondo finanziato dal sistema bancario e dalla Cassa depositi e prestiti che è diventato azionista unico dell’istituto sborsando 1,5 miliardi. Molti ritenevano che la storia fosse ormai avviata al lieto fine, con i manager responsabili della precedente e scellerata gestione messi alla porta e un nuovo consigliere delegato, Francesco Iorio, al timone già dalla primavera 2015.

Proprio a questo punto, però, la vicenda ha preso una piega che, a esaminarla con il senno di poi, pare davvero incredibile. In sostanza, i nuovi padroni, cioè i gestori del fondo Atlante, si rendono conto strada facendo che le dimensioni del disastro sono molto maggiori di quanto si credeva. Quel miliardo e mezzo dell’aumento di capitale si rivela un semplice puntello per un’impalcatura pericolante. E i controllori nel frattempo che fanno? I controllori controllano, ma con i loro tempi. La Bce, a cui spetta la vigilanza sull’istituto vicentino, manda i suoi ispettori a fine maggio del 2016 per verificare tra l’altro la correttezza della valutazione dei rischi sui crediti.

Ottimo, se non fosse che l’ispezione si conclude negli ultimi giorni di settembre e i risultati vengono comunicati ufficialmente alla banca solo alla fine del marzo successivo. Nel frattempo, la Popolare resta in balia degli eventi. Il numero uno Iorio se ne va e molti azionisti invocano un’azione di responsabilità contro di lui per le sue presunte responsabilità nel mancato risanamento. Alla fine, il manager esce di scena incassando 1,5 milioni di buonuscita e rinunciando a un’indennità supplementare di un milione. Intanto, l’esercito degli azionisti è disorientato. Con l’aria che tira, diventa sempre più difficile immaginare di reclutare investitori che sottoscrivano un nuovo aumento di capitale ormai inevitabile.

L’incertezza sulle prospettive dell’istituto finisce per aggravare la situazione. Ogni giorno che passa aumentano i clienti che decidono di portare i loro soldi altrove. Nel 2016 la Popolare Vicenza vede svanire altri 3 miliardi di depositi, il 15 per cento del totale, che si aggiungono ai 7 miliardi persi nel corso dei dodici mesi precedenti. Per una banca, qualunque banca, è molto difficile, per non dire impossibile, far fronte a un salasso simile. Francoforte però prende tempo, anche se ormai è chiaro che solo lo Stato può mettere in campo le risorse necessarie per evitare il crack. E infatti ai primi di aprile arriva il via libera. In quanto istituti di rilevanza sistemica, Popolare Vicenza e Veneto Banca sono ammesse dalla Bce alla cosiddetta ricapitalizzazione precauzionale per 6,4 miliardi finanziata con fondi pubblici. I soldi in arrivo da Roma, però, secondo le regole europee devono servire a finanziare il rilancio e non a coprire perdite del passato o imminenti. Questo è il varco in cui si infila la Commissione di Bruxelles per chiedere che anche i privati contribuiscano all’operazione con almeno 1,2 miliardi. L’iniezione supplementare di denaro serve a coprire il fabbisogno di capitale che deriva dal ricalcolo dei crediti deteriorati nei bilanci dei due istituti. Come dire che i conti sono ancora pieni di buchi dopo ben due anni di pulizie straordinarie, con gran via vai di manager e inviati della Vigilanza. Si è perso tempo prezioso, mentre clienti e potenziali investitori fuggivano a gambe levate.

Le residue speranze di salvare il salvabile si sono infine spente nel gioco di rimpalli tra Roma, Bruxelles e Francoforte. Ma prima di arrivare al capolinea del bail in si è aperto l’ultimo paracadute. Contrordine: Popolare Vicenza e Veneto Banca non sono di “rilevanza sistemica”. Via libera quindi alla liquidazione secondo la legge italiana. E all’intervento di Intesa. Con i soldi dello Stato. Cioè i nostri.
 

La riflessione di Hominibus

 Ecco uno straordinario esempio di danno politico!

Quello che accade in questi giorni fa chiarezza sulle aspirazioni reali

delle attività politiche che denunciano una netta prevalenza degli interessi

personali sulle esigenze oggettive dei cittadini rappresentati, dando motivazione

fondamentale all'urgente riforma dei meccanismi di delega solo come 'extrema ratio''.

Cari Politici di tutto il Mondo, è sempre più vicino ed opportuno il momento magico per...

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ASSORBIRELE FUNZIONI POLITICHE NELLE AMMINISTRATIVE,

PER MODERNIZZARE IL SISTEMA FISCALE ED IMPIEGARE

LE EFFICIENTI ED ELEMENTARI REGOLE DEL MERCATO,

DA RENDERE OBBLIGATORIE IN TUTTO IL MONDO CIVILE,

 CON LIBERA CIRCOLAZIONE DELLA RICCCHEZZA FINANZIARIA!

-----------DA IMPARARE A MEMORIA E TRAMANDARE AI FIGLI!----------

L'invito di Hominibus a voler riflettere sui criteri politici che governano

 l'Amministrazione pubblica, in cui è facile rilevare un comportamento

comune, tendente a cogliere irresistibili occasioni per ritagliare dei

ghiotti margini, che sono alla base dell'agire privato o di gruppo.

Tali comportamenti sono resi più irresistibili a causa di sistemi

fiscali che scelgono di inseguire la ricchezza liquida al posto

di quella solida, mentre sarebbe più efficace ed economico

ridurre l'interesse al solo patrimonio, essendo scopo

ultimo dell'umana attività, beneficiario del buon

funzionamento dei servizi pubblici sul

territorio, realizzando l'obiettivo, insolito per la

Amministrazione pubblica, di semplicità e correttezza

nei confronti di tutti i Cittadini, evitando di fare le pulci con

procedure che richiederebbero meritati provvedimenti punitivi

per il relativo costo e la complessità inutile e fallace di gestione!

 

Anche cambiando la guida di governo, pescando nel finto nuovo,

la musica rimane la stessa perché il canovaccio usato lungo tutto l'arco

della rappresentanza politica denuncia, alla base, lo stesso difetto che inficia

e pregiudica l'adozione d'unica strategia capace di assicurare il risultato migliore,

che consiste nel coniugare, insieme, i requisiti di semplicità, economicità, universalità

e automaticità, tutti raggiungibili solo se basati sul presupposto del vero rispetto reciproco,

richiedendo il totale azzeramento degli attuali apparati politici, le cui funzioni sarebbero affidate

ai massimi livelli dell'amministrazione pubblica con compiti di continua rilevazione delle pubbliche

richieste di modifiche degli ordinamenti statali e delle istanze relative alla gestione dei rapporti

politici ed economici nazionali ed internazionali, basata sulla risposta al seguente quesito,

che può sembrare strampalato, ma che assicura la partecipazione diretta dei Cittadini e

la continua uniformità dei provvedimenti conseguenti, sostituendo figure oramai fuori

tempo, essendo necessaria accettare la insolita equazione richiesta qui di seguito:

"STATO = CONDOMINIO"

Ma perché non debba essere presa in considerazione una soluzione prospettabile

con l'apparentamento di Stato ad un grosso Condominio, da cui discenderebbe

naturalmente l'eliminazione del potere politico e l'ampliamento delle funzioni

amministrative dei Ministeri secondo regolamenti predefiniti che diano la

certezza del domani perché basati su norme elementari da seguire?

 

L'adozione dello Stato Condominiale farebbe cessare molte delle

discussioni apparentemente vitali, dando impulso alla riforma

definitiva che permetta l'accesso diretto alla formazione

 delle leggi o la delega temporanea a rappresentare,

gratuita o a compenso da convenire, grazie alla

immensa potenzialità dei mezzi trasmissivi

odierni, con potere di voto unitario per

 votazioni di principio o pari alla ricchezza

patrimoniale rappresentata per le votazioni

richiedenti gli impegni di spesa collettiva, usando

le Camere per l'accoglienza di Delegati con accordi di

tipo privato di durata e compensi con Cittadini deleganti.

 

Nella speranza che, finalmente, sparisca l'attuale ceto politico,

vera causa, innanzitutto, di disordine morale per la incapacità di

liberare l'animo dall'ansia di arricchimento personale, che potrebbe

essere combattuta con la rivoluzione del sistema fiscale che imponga

la giusta partecipazione della ricchezza patrimoniale alle spese comuni

indivisibili, esimendo, in cambio, la ricchezza finanziaria dalla consapevole

e arrogante presunzione di poterne controllare correttamente la circolazione! 

 

IL MANIFESTO CONTRO L'ACCOZZAGLIA POLITICA:

 

Hominibus desidera far riflettere il Lettore sulla situazione che

sta sotto gli occhi di tutti, in cui posti di grande responsabilità

sono ricoperti da personalità che non hanno la necessaria

preparazione, sensibilità, cultura per decidere il destino

nel rispetto di Tutti e, quindi, urge correre ai ripari

prima che possa accadere l'irreparabile,

oggi molto più probabile di ieri con

i soliti politici al comando!

 

"Non si può risolvere un problema con

lo stesso modo di pensare

che lo ha creato !"

(Einstein)

 

E' necessario cambiare radicalmente metodo, come è indicato in

www.parlamentopopolare.it

(in costruzione, attendendo l'occasione delle prossime elezioni)

 

Hominibus propone cose giuste, facili da fare,

sicuramente in nome di una idea onesta

per una società del 3° Millennio. 

Traduciamola in realtà!

 

L'ITALIA,

La prima Nazione nel Mondo

con il sistema fiscale patrimoniale,

anzi, condominiale, e la libera circolazione

della ricchezza finanziaria, grande risorsa sociale!

 

Insomma, stare insieme, ma da pari, in un grande...

 

STATO CONDOMINIALE

con un Parlamento Popolare

per consentire finalmente la partecipazione diretta di tutti i Cittadini,

che avranno ruolo attivo, anche amministrativo, all'insegna del binomio ...

MERCATO  &  FISCO PATRIMONIALE

in Italia entro il 2020, in un'Europa condominiale entro il 2030, nel Mondo entro il 2050 !

 

Roma, 14 Luglio 2017 

Hominibus

Movimento di opinione per la costruzione di una società onesta,

che riconosca finalmente i diritti della maggioranza delle popolazioni mondiali,

vessate da politiche vergognosamente favorevoli alle classi benestanti, sempre peggio rappresentate.