Teatrino Politico
Lotta intestina tra gli allevatori nostrani di
polli...(continua)
La casta della stampa assistita
contro
quel 'furetto' di Brunetta
di Emiliano Fittipaldi e Marco Lillo (Editoriale L'Espresso)
La trasferta a Teramo per diventare professore. La casa con sconto dall'ente.
Il rudere che si muta in villa. Le assenze in Europa e al Comune. Ecco la vera
storia del ministro anti-fannulloni

La prima immagine di Renato Brunetta impressa nella memoria di un suo
collega è quella di un giovane docente inginocchiato tra i cespugli del
giardino dell'università a fare razzia di lumache. Lì per lì i professori
non ci fecero caso, ma quella sera, invitati a cena a casa sua, quando
Brunetta servì la zuppa, saltarono sulla sedia riconoscendo i molluschi a
bagnomaria. Che serata. La vera sorpresa doveva ancora arrivare. Sul più
bello lo chef si alzò in piedi e, senza un minimo di ironia, annunciò
solennemente: "Entro dieci anni vinco il Nobel. Male che vada, sarò
ministro". Eravamo a metà dei ruggenti anni '80, Brunetta era solo un
professore associato e un consulente del ministro Gianni De Michelis.
Ci ha messo 13 anni in più, ma alla fine l'ex venditore ambulante di
gondolette di plastica è stato di parola. In soli sette mesi di governo è
diventato la star più splendente dell'esecutivo Berlusconi. La guerra ai
fannulloni conquista da mesi i titoli dei telegiornali. I sondaggi lo
incoronano - parole sue - 'Lorella Cuccarini' del governo, il più amato
dagli italiani. Brunetta nella caccia alle streghe contro i dipendenti
pubblici non conosce pietà. Ha ristretto il regime dei permessi per i
parenti dei disabili, sogna i tornelli per controllare i magistrati
nullafacenti e ha falciato i contratti a termine. Dagli altri pretende
rigore, meritocrazia e stakanovismo, odia i furbi e gli sprechi di denaro
pubblico, ma il suo curriculum non sempre brilla per coerenza. A
'L'espresso' risulta che i dati sulle presenze e le sue attività al
Parlamento europeo non ne fanno un deputato modello. Anche la carriera
accademica non è certo all'altezza di un Nobel. Ma c'è un settore nel quale
l'ex consigliere di Bettino Craxi e Giuliano Amato ha dimostrato di essere
davvero un guru dell'economia: la ricerca di immobili a basso costo, dove ha
messo a segno affari impossibili per i comuni mortali.
Chi l'ha visto Appena venticinquenne, Brunetta entra nel
dorato mondo dei consulenti (di cui oggi critica l'abuso). Viene nominato
dall'allora ministro Gianni De Michelis coordinatore della commissione sul
lavoro e stende un piano di riforma basato sulla flessibilità che gli costa
l'odio delle Brigate rosse e lo costringe a una vita sotto scorta. Poi
diventa consigliere del Cnel, in area socialista. Nel 1993, durante Mani
Pulite firma la proposta di rinnovamento del Psi di Gino Giugni. Nel 1995
entra nella squadra che scrive il programma di Forza Italia e nel 1999 entra
nel Parlamento europeo.
Proprio a Strasburgo, se avessero applicato la 'legge dei
tornelli' invocata dal ministro, il professore non avrebbe fatto certo una
bella figura. Secondo i calcoli fatti da 'L'espresso', in dieci anni è
andato in seduta plenaria poco più di una volta su due. Per la precisione la
frequenza tocca il 57,9 per cento. Con questi standard un impiegato (che non
guadagna 12 mila euro al mese) potrebbe restare a casa 150 giorni l'anno.
Ferie escluse. Lo stesso ministro ha ammesso in due lettere le sue
performance: nella legislatura 1999-2004 ha varcato i cancelli solo 166
volte, pari al 53,7 per cento delle sedute totali. "Quasi nessun
parlamentare va sotto il 50, perché in tal caso l'indennità per le spese
generali viene dimezzata", spiegano i funzionari di Strasburgo. Nello stesso
periodo il collega Giacomo Santini, Pdl, sfiorava il 98 per cento delle
presenze, il leghista Mario Borghezio viaggiava sopra l'80 per cento. Il
trend di Brunetta migliora nella seconda legislatura, quando prima di
lasciare l'incarico per fare il ministro firma l'elenco (parole sue) 148
volte su 221. Molto meno comunque di altri colleghi di Forza Italia: nello
stesso periodo Gabriele Albertini è presente 171 volte, Alfredo Antoniozzi e
Francesco Musotto 164, Tajani, in veste di capogruppo, 203.
La produttività degli europarlamentari si misura dalle
attività. In aula e in commissione. Anche in questo caso Brunetta non sembra
primeggiare: in dieci anni ha compilato solo due relazioni, i cosiddetti
rapporti di indirizzo, uno dei termometri principali per valutare
l'efficienza degli eletti a Strasburgo. L'ultima è del 2000: nei successivi
otto anni il carnet del ministro è desolatamente vuoto, fatta eccezione per
le interrogazioni scritte, che sono - a detta di tutti - prassi assai poco
impegnativa. Lui ne ha fatte 78. Un confronto? Il deputato Gianni Pittella,
Pd, ne ha presentate 126. Non solo. Su 530 sedute totali, Brunetta si è
alzato dalla sedia per illustrare interrogazioni orali solo 12 volte, mentre
gli interventi in plenaria (dal 2004 al 2008) si contano su due mani.
L'ultimo è del dicembre 2006, in cui prende la parola per "denunciare
l'atteggiamento scortese e francamente anche violento" degli agenti di
sicurezza: pare non lo volessero far entrare. Persino gli odiati politici
comunisti, che secondo Brunetta "non hanno mai lavorato in vita loro", a
Bruxelles faticano molto più di lui: nell'ultima legislatura il no global
Vittorio Agnoletto e il rifondarolo Francesco Musacchio hanno percentuali di
presenza record, tra il 90 e il 100 per cento.
Se la partecipazione ai lavori d'aula non è da seguace di Stakanov, neanche
in commissione Brunetta appare troppo indaffarato. L'economista sul suo sito
personale ci fa sapere che, da vicepresidente della commissione Industria,
tra il 1999 e il 2001 ha partecipato alle riunioni solo la metà delle volte,
mentre nel biennio 2002-2003, da membro titolare della delicata commissione
per i Problemi economici e monetari, si è fatto vedere una volta su tre.
Strasburgo è lontana dall'amata Venezia, ma non si tratta di un problema di
distanza. A Ca' Loredan, nel municipio dove è stato consigliere comunale e
capo dell'opposizione dal 2000 al 2005, il nemico dei fannulloni detiene il
record. Su 208 sedute si è fatto vedere solo in 87 occasioni: quattro
presenze su dieci, il peggiore fra tutti i 47 consiglieri veneziani.
Il bello del mattone
LA MAPPA DELLE PROPRIETA' DI BRUNETTA
Brunetta spendeva invece molto tempo libero per mettere a segno gli
affari immobiliari della sua vita. Oggi il ministro possiede un patrimonio
composto da sei immobili (due ereditati a metà con il fratello) sparsi tra
Venezia, Roma, Ravello e l'Umbria, per un valore di svariati milioni di
euro. "Mi piacciono le case e le ho pagate con i mutui", ha sempre detto.
Effettivamente per comprare e ristrutturare la magione di 420 metri quadrati
con terreno e piscina in Umbria, a Monte Castello di Vibio, vicino a Todi,
Brunetta ha contratto un mutuo di 600 milioni di vecchie lire del 1993. Ma
per acquistare la casa di Roma e quella di Ravello, visti i prezzi
ribassati, non ne ha avuto bisogno. Cominciamo da quella di Roma. Alla fine
degli anni Ottanta il rampante professore aveva bisogno di un alloggio nella
capitale, dove soggiornava sempre più spesso per la sua attività politica.
Un comune mortale sarebbe stato costretto a rivolgersi a un'agenzia
immobiliare pagando le stratosferiche pigioni di mercato. Brunetta no.
Come tanti privilegiati, riesce a ottenere un appartamento dall'Inpdai,
l'ente pubblico che dovrebbe sfruttare al meglio il suo patrimonio
immobiliare per garantire le pensioni ai dirigenti delle aziende. Invece, in
quel tempo, come 'L'espresso' ha raccontato nell'inchiesta 'Casa nostra' del
2007, gli appartamenti più belli finivano ai soliti noti. Brunetta incluso.
Un affitto che in quegli anni era un sogno per tutti i romani, persino per i
dirigenti iscritti all'Inpdai ai quali sarebbe spettato. Lo racconta Tommaso
Pomponi, un ex dirigente della Rai ora in pensione, che ha presentato
domanda alla fine degli anni Ottanta: "Nonostante fossi stato sfrattato, non
ottenni nessuna risposta. Contattai presidente e direttore generale, scrissi
lettere di protesta, inutilmente". Pomponi ha pagato per anni due milioni di
lire di affitto e poi ha comprato a prezzi di mercato, come tutti. Il
ministro, invece, dopo essere stato inquilino per più di 15 anni con canone
che non ha mai superato i 350 euro al mese, ha consolidato il suo privilegio
rendendolo perpetuo: nel novembre 2005 il patrimonio degli enti infatti è
stato ceduto. Brunetta compra insieme agli altri inquilini ottenendo uno
sconto superiore al 40 per cento sul valore di stima. Alla fine il prezzo
spuntato dal grande moralizzatore del pubblico impiego è di 113 mila euro,
per una casa di 4 vani catastali, situata in uno dei punti più belli di
Roma. Si tratta di un quarto piano con due graziosi balconcini e una veranda
in legno. Brunetta vede le rovine di Roma e il parco dell'Appia antica. Un
appartamento simile a quello del ministro vale circa mezzo milione di euro:
con i suoi 113 mila euro l'economista avrebbe potuto acquistare un box.
GUARDA LO SFOGLIO:
I documenti dell'acquisto della casa Inpdai
Un tuffo in Costiera Anche il buen retiro di Ravello è
stato un affare immobiliare da Guinness. Brunetta, che si autodefinisce "un
genio", diventa improvvisamente modesto quando passa in rassegna i suoi
possedimenti campani. "Una proprietà scoscesa", ha definito questa splendida
villa di 210 metri quadrati catastali immersa in 600 metri di giardino e
frutteto. Seduto nel suo patio il ministro abbraccia con lo sguardo il blu e
il verde, Ravello e Minori.
Per comprare i ruderi che ha poi ristrutturato ha speso 65 mila euro tra il
2003 e il 2005. "Quanto?", dice incredula Erminia Sammarco, titolare
dell'agenzia immobiliare Tecnocasa di Amalfi: "Mi sembra impossibile: a quel
prezzo un mio cliente ha venduto una stalla con un porcile". Oggi un rudere
di 50 metri quadri costa circa 350 mila euro, e una villa simile a quella
dell'economista supera di gran lunga il milione di euro. Il ministro ha
certamente speso molto per la pregevole ristrutturazione, tanto che ha preso
un mutuo da 300 mila euro poco dopo l'acquisto del 2003 che finirà di pagare
nel 2018, ma ha indubbiamente moltiplicato l'investimento iniziale.
Ma come si fa a trasformare una catapecchia senza valore in una villa di
pregio? 'L'espresso' ha consultato il catasto e gli atti pubblici scoprendo
così che Brunetta ha comprato due proprietà distinte per complessivi sette
vani catastali, affidando i lavori di restauro alla migliore ditta del
luogo. Dopo la cura Brunetta, al posto dei ruderi si materializza una
villetta su tre livelli su 172 metri quadrati più dépendance, rifiniture in
pietra e sauna in costruzione. Per il catasto, invece, l'alloggio passa da
civile a popolare. In compenso, i sette vani sono diventati 12 e mezzo. Come
è stata possibile questa lievitazione? "Diversa distribuzione degli spazi
interni", dicono le carte. La signora Lidia Carotenuto, che fino al 2002 era
proprietaria del piano inferiore, ricorda con un po' di malinconia: "La mia
casa era composta di due stanzette, al massimo saranno stati 40 metri
quadrati e sopra c'era un altro appartamento (che misurava 80 metri
catastali, ndr) in rovina. So che ora il Comune di Ravello sta costruendo
una strada che passerà vicino all'abitazione del ministro. Io non avrei
venduto nulla se l'avessero fatta prima...". A rappresentare Brunetta
nell'atto di acquisto della dépendance nel 2005 è stato il geometra Nicola
Fiore, che aveva seguito in precedenza anche le pratiche urbanistiche. Fiore
era all'epoca assessore al Bilancio del comune, guidato dal sindaco Secondo
Amalfitano, del Partito democratico. I rapporti con il primo cittadino è
ottimo: Brunetta entra nella Fondazione Ravello. E quest'anno, dopo le
elezioni, Amalfitano fa il salto della barricata, entra nel Pdl e lascia la
Costiera per Roma dove viene nominato suo consigliere ministeriale.
Il Nobel mancato "Io sono un professore di economia del lavoro, l'ho
guadagnato con le unghie e con i denti. Sono uno dei più bravi d'Italia,
forse d'Europa", ha spiegato Brunetta ad Alain Elkann, che di rimbalzo lo ha
definito "un maestro della pasta e fagioli" prima di chiedergli la ricetta
del piatto. L'economista Ada Becchi Collidà, che ha lavorato nello stesso
dipartimento per otto anni, dice senza giri di parole che "Renato non è uno
studioso. È prevalentemente un organizzatore, che sa dare il meglio di sé
quando deve mettere insieme risorse". Alla facoltà di Architettura di
Venezia entra nel 1982, dopo aver guadagnato l'idoneità a professore
associato in economia l'anno precedente. Come ha ricordato in Parlamento il
deputato democratico Giovanni Bachelet, Brunetta non diventa professore con
un vero concorso, ma approfitta di una "grande sanatoria" per i precari che
gravitavano nell'università. Una definizione contestata dal ministro, che
replica: avevo già tutti i titoli.
In cattedra. Secondo il curriculum pubblicato sul sito
dell'ateneo di Tor Vergata (dove insegna dal 1991), al tempo il giovane
Brunetta poteva vantare poche pubblicazioni: una monografia di 500 pagine e
due saggi. Il primo era composto di dieci pagine ed era scritto a sei mani,
il secondo era un pezzo sulla riduzione dell'orario edito da 'Economia&Lavoro',
la rivista della Fondazione Brodolini, di area socialista, che Brunetta
stesso andrà a dirigere nel 1980. Tutto qui? Nel mondo della ricerca
esistono diverse banche dati per valutare il lavoro di uno studioso. Oggi
Brunetta si trova in buona posizione su quella Econlit, che misura il numero
delle pubblicazioni rilevanti: 30, più della media dei suoi colleghi. La
musica cambia se si guarda l'indice Isi-Thompson, quello che calcola le
citazioni che un autore ha ottenuto in lavori successivi: una misura
indiretta e certo non infallibile della qualità di una pubblicazione, ma che
permette di farsi un'idea sull'importanza di un docente. L'indice di
citazioni di Brunetta è fermo sullo zero.
Le valutazioni degli indicatori sono discutibili, ma di sicuro il mondo
accademico non lo ha mai amato: "L'università ha sempre visto in lui il
politico, non lo scienziato", ricorda l'ex rettore dello Iuav di Venezia,
Marino Folin. Nel 1991, da professore associato, riesce a trasferirsi
all'Università di Tor Vergata. In attesa del Nobel, tenta almeno di
diventare professore ordinario partecipando al concorso nazionale del 1992.
In un primo momento viene inserito tra i 17 vincitori. Ma un commissario,
Bruno Sitzia, rimette tutto in discussione. Scrive una lettera e, senza
riferirsi a Brunetta, denuncia la lottizzazione e la poca trasparenza dei
criteri di selezione. "Si discusse anche di Brunetta, e ci furono delle
obiezioni", ricorda un commissario che chiede l'anonimato: "La situazione
era curiosa: la maggioranza del collegio era favorevole a includere
l'attuale ministro, ma non per i suoi meriti, bensì perché era stato trovato
l'accordo che faceva contenti tutti. Comunque c'erano candidati peggiori di
lui". Il braccio di ferro durò mesi, poi il presidente si dimise. E la nuova
commissione escluse Brunetta. Il professore 'migliore d'Europa' viene
bocciato. Un'umiliazione insopportabile. Così fa ricorso al Tar, che gli dà
torto. Poi si appella al Consiglio di Stato, ma poco prima della decisione
si ritira in buon ordine. Nel 1999 era riuscito infatti a trovare una strada
per salire sulla cattedra. Un lungo giro che valica l'Appennino e si
arrampica alle pendici del Gran Sasso, ma che si rivela proficuo. È a Teramo
che ottiene infine il riconoscimento: l'alfiere della meritocrazia, bocciato
al concorso nazionale, riesce a conquistare il titolo di ordinario grazie
all'introduzione dei più facili concorsi locali. Nel 1999 partecipa al bando
di Teramo, la terza università d'Abruzzo. Il posto è uno solo ma vengono
designati tre vincitori. La cattedra va al candidato del luogo ma anche gli
altri due ottengono 'l'idoneità'. Brunetta è uno dei due e torna a Tor
Vergata con la promozione. Un'ultima nota. A leggere le carte del concorso,
fino al 2000 Brunetta "è professore associato a Tor Vergata". La stranezza è
che il curriculum ufficiale - pubblicato sul sito della facoltà del ministro
- lo definisce "professore ordinario dal 1996". Quattro anni prima: errore
materiale o un nuovo eccesso di ego del Nobel mancato?
Hanno collaborato Michele Cinque e Alberto Vitucci
(13 novembre 2008)
Il quesito di Hominibus
Chi abbia avuto modo di sfogliare il settimanale
"L'Espresso"
non può non aver notato l'abbondanza di
spazi dedicati
alle promozioni commerciali riguardanti vari
settori,
in una proporzione veramente sconcertante,
se messa a confronto con le pagine
occupate dagli striminziti servizi
di incerto valore giornalistico,
con il contorno di messaggi
più adatti ad imbonitori di piazza,
che porta anche il lettore più affezionato a
a consigliare al gruppo editoriale di
trasformare
l'oggetto di impresa in migliaia di
bazar sul territorio,
rinunciando ai ricchi contributi a carico della
finanza pubblica,
concessi per difendere un prodotto di scaduta
qualità professionale!
Giusto in tono con
cialtronerie come
il 'bu bu settete!'
Allora,
nauseati dell'attuale fiction che abusa anche di
inviolabili locations,
sotto la regia di un impresario troppo esuberante o
'fatto',
e di una corte che trae anche lauto profitto
da assolutoria testimonianza
Vi chiediamo ...
E' tempo di lasciare, tempo di migrare
oppure ...
di restare e cercare di costruire un lieto fine,
democraticamente, prima che sia troppo tardi ?
Infine
Il Presidente della Repubblica é custode o palo della
Costituzione ?
Perché non richiama l'inguaribile guitto affinché non faccia
scadere
l'Italia al livello di una sua privata compagnia teatrale?
Hominibus
Movimento di opinione per
l'affermazione della democrazia reale
a difesa del 70/80% della
popolazione in balia delle mille caste di briganti benestanti