La faticosa riqualificazione degli allevatori mondiali di polli
(Il tentativo N. 389
di esortare i più forti, perché possano riuscire a condurre tutti sulla retta
via
Grillo paga
il conto dell’inciucio con Renzi e dell’effetto Raggi
sindaca: gli italiani ora hanno paura degli inesperti al
potere
Una parte
degli elettori che preferivano l'antisistema sono
rimasti delusi: il patto non è sembrato un grande
accordo per aprire la "scatoletta di tonno", ma un
giochino di Palazzo che non è nemmeno andato a buon fine
Il problema del M5s
non è che hanno perso le elezioni perché non sono andati
al ballottaggio in nessun comune importante. Casomai è
il contrario: non sono andati al ballottaggio in nessun
comune importante, proprio perché hanno un problema
politico.
L'espulso Pizzarotti cancella il Movimento a Parma
Per la prima volta Il
Movimento di Grillo segna il passo, per la prima volta
un espulso dal Movimento cancella il Movimento (e non il
contrario) come è avvenuto a Parma con il successo di
Federico Pizzarotti. Non è questione di quorum e di
sbarramenti, di seggi o di eletti: per la prima volta il
numero dei voti assoluti e in percentuale raccolti dai
grillini segnano il passo o addirittura tornano
indietro, rispetto al grande boom che aveva prodotto -
sempre alle amministrative - la conquista di Roma e
Torino.
I motivi del crollo
Io credo che i motivi
di questo innegabile passo indietro siano almeno tre. Il
primo: il M5s paga a livello nazionale un evidente
effetto-Raggi. Fino alle elezioni di Roma il Movimento
era visto come una alternativa estrema ma possibile.
Adesso uno vede un giovane sconosciuto candidato a
cinque stelle, e teme che dietro possa nascondersi un
improvvisatore inesperto, uno che non riesce nemmeno a
fare la giunta. Il che non vuole dire necessariamente
che questo elettore non potrebbe dare lo stesso voto
alle politiche. Ma che, almeno per amministrare una
città, preferisce una opzione che sia più garanzie di
concretezza.
L'autogol dell'accordo per la legge elettorale
Secondo motivo:
l'accordo sulla legge elettorale, a prescindere dal
contenuto, anche per il modo in cui è stato interpretato
e comunicato alla base e all'opinione pubblica è stato
percepito come una normalizzazione del Movimento. Per la
prima volta i grillini si sedevano ad un tavolo, per un
accordo che non è apparso virtuoso, per la prima volta
hanno parlato la lingua faticosa e acrobatica del
compromesso, per la prima volta si sono - per così dire
- "normalizzati". Una parte degli elettori che
preferivano l'antisistema sono rimasti delusi: il patto
non è sembrato un grande accordo per aprire la
"scatoletta di tonno", ma un giochino di Palazzo che non
è nemmeno andato (come sappiamo) a buon fine.
Il tallone di Achille degli accordi
Terzo motivo: il nodo
delle alleanze. Quando il movimento era una novità
assoluta e i partiti tradizionali si trovavano nel loro
momento più basso, "vinciamo da soli" era un punto di
forza. Oggi, che il M5s è in Parlamento, fa accordi,
partecipa alla vita politica, il correre da soli diventa
una tallone di Achille rispetto alle tradizionali
coalizioni, che portano la soglia per accedere al
ballottaggio sopra la soglia naturale del 35%. Tradotto
in termini concreti: il risultato medio di una
coalizione decente è superiore a quello straordinario
che serve per superare quella soglia decisiva di un voto
su tre.
Messaggi contraddittori
Ma se Atene piange,
Sparta non ride: tutti i partiti hanno trasmesso in
questi giorni messaggi del tutto distonici rispetto a
quello che comunicavano sul territorio. Pd e Forza
Italia hanno comunicato ansia di inciucio, proprio
mentre nei comuni costruivano alleanze bipolari. Il
successo - se così si può chiamare - dei candidati di
coalizione non è determinato dai partiti-cardine, ma dai
loro alleati. Dalle liste minori, per esempio. O dalle
liste civiche che raccolgono consenso sul territorio,
con le loro decine di candidati di quartiere. Se i
grillini si trovassero degli alleati, o si inventassero
delle liste di appoggio potrebbero sperare di tornare
competitivi.
Non mi importa con chi sta, ma cosa sa fare
Quarto punto: nelle
elezioni amministrative contano l'esperienza e la
credibilità. L'incredibile risultato del longevo Leoluca
Orlando a Palermo, è il simbolo dell'usato sicuro che
batte sul campo l'ideologia della rottamazione a tutti i
costi. E la vittoria di Pizzarotti che arriva primo
senza nessun grande partito alle spalle, è l'immagine
della credibilità non ideologica che prevale sul
l'appartenenza: non mi importa con chi sta, ma cosa sa
fare. A Lecce un partito minore di destra - quello di
Fitto - traina al successo tutta la coalizione:
l'alleanza fa si che se il partito dominante è in
difficoltà altri possano raccogliere consensi al suo
posto.
Consigli per il futuro
I ballottaggi diranno
altre sue cose molto importanti: chi prevale fra destra
e sinistra e - soprattutto - dove vanno quegli elettori
che al primo turno hanno votato M5s. Quello che è certo
fin da ora, però, è che - con il senno di poi - i
grillini avrebbero fatto meglio a non cambiare linea, o
addirittura (visto che poi lo hanno sconfessato) a non
sottoscrivere il patto "tedesco". Questo giro di
elezioni in tutta Europa hanno dimostrato che in paesi
diversissimi e con Sitter diverse, i movimenti
antisistema rischiano di esaurire la loro funzione da
una elezione all'altra: come dei piatti usa e getta che
gli elettori usano per pungolare i partiti di cui sono
insoddisfatti, e di cui poi si disfano: perché la
funzione esaurita, o perché c'è un altro pungolo che
funziona meglio. Se non vogliono fare questa fine i
pentastellati dovranno cambiare qualcosa della loro
linea. Al più presto.
La riflessione
di Hominibus
Quello che
accade in questi giorni fa chiarezza sulle aspirazioni reali
delle attività
politiche che denunciano una netta prevalenza degli interessi
personali sulle
esigenze oggettive dei cittadini rappresentati dando la motivazione
fondamentale
alla urgente riforma dei meccanismi di delega solo come 'extrema ratio'.
Cari Politici di
tutto il Mondo, è sempre più vicino ed opportuno il momento magico per...