La faticosa riqualificazione degli allevatori mondiali di polli
(Il tentativo N. 367 di esortare i più forti, perché possano riuscire a condurre tutti sulla retta via)
DI MARCO DAMILANO
«Ricostruire
da zero Stromboli. Ricostruire da zero l’Italia. Un nuovo modo di vivere, una
nuova luce, nuovi abiti, nuovi suoni, un nuovo modo di parlare, nuovi colori,
nuovi sapori... Tutto nuovo!». Era il 1993, Nanni Moretti affidava al
personaggio del sindaco di Stromboli in “Caro Diario” il manifesto ideale degli
anni che sarebbero venuti: fare tabula rasa del vecchio, ricostruire da zero,
tutto nuovo. E vennero i sindaci e la fantasia al potere nelle città, e poi
l’Imprenditore con il suo nuovo modo di parlare in politica, i nuovi suoni, i
nuovi inni: «Forza alziamoci, il futuro è aperto entriamoci...».
E ora invece il futuro si chiude, con il 2017 si avverte inconfondibile
l’atmosfera dell’indietro tutta, il cambiare verso, ma in retromarcia, la
nostalgia dell’antico, il fascino imprevisto della conservazione. Sigillato il
20 dicembre dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso
nel Salone dei Corazzieri del Quirinale alle alte cariche dello Stato, finora il
più importante del suo settennato. Quando al tirar le somme di un anno
drammatico, vissuto sullo scontro da fine-mondo sul voto referendario, il Capo
dello Stato ha soavemente sepolto trenta, forse quarant’anni di progetti,
propositi, velleità di Riforma costituzionale. «Il testo vigente - conservato
inalterato dal voto popolare - costituisce la Costituzione di tutti gli
italiani, che tutti dobbiamo amare e rispettare», ha scandito con mitezza
Mattarella. Allitterazione a parte (costituisce la Costituzione), sono parole
definitive, pronunciate di fronte a una platea di ministri, parlamentari,
vertici militari, prefetti, magistrati, alte burocrazie: il Contesto che regge e
governa lo Stato. «Il testo conservato inalterato dal voto popolare». Quella
riga (il testo conservato, anzi, di più, inalterato, ovvero non alterato, non
adulterato, integro, intatto, per di più con il voto popolare), avverte che
siamo giunti all’ultima stazione di un lungo percorso che non ha portato da
nessuna parte. La transizione italiana, per ora, si ferma qui, al punto di
partenza. Addio nuovo.
Per capire quale sia lo stato d’animo degli inquilini del Palazzo devi
raccogliere le confessioni di un ministro, riconfermato nel governo Gentiloni:
«Con Matteo Renzi il Consiglio durava un quarto d’ora, parlava solo lui. Quando
qualcuno di noi si dilungava a presentare un provvedimento veniva subito
interrotto: “Faccio io la sintesi!”. I minuti finali li dedicava a darci i
compiti mediatici: “Tu vieni con me in conferenza stampa. Tu invece vai questa
sera in tv, da Vespa. E domani fai un’intervista con un quotidiano del Nord...”.
Da quando c’è Paolo, abbiamo ripreso a parlare tutti...». O quelle del dirigente
di un’importante azienda pubblica: «C’è un clima di sollievo. Fino a qualche
settimana fa ogni iniziativa doveva essere comunicata a Palazzo Chigi e se Renzi
decideva di partecipare doveva essere mediaticamente trasformata in un evento,
“senza precedenti”, si capisce. Ora siamo tornati alla normalità...».
Al posto del temuto Giudizio Universale del dopo-referendum arriva a sorpresa la
Grande Bonaccia. La Tregua. La Restaurazione, forse: il congresso di Vienna dopo
la caduta del Napoleone di Rignano sull’Arno. «I vostri sovrani, nati sul trono,
possono lasciarsi battere venti volte e rientrare sempre nelle loro capitali»,
aveva confidato l’Imperatore francese al conte di Metternich nel 1813. Una
lezione destinata a durare: il leader che non è «nato sul trono» per rimanere al
potere è costretto al movimento perpetuo, alla destabilizzazione di ciò tutto
che è ordine costituito, istituzione. A essere sempre nuovo: il Nuovo.
Il referendum del 4 dicembre ha sconfitto, anzi, ha travolto questa idea di
cambiamento perenne provocato dall’alto, da una leadership personalistica e
ambiziosa. Ma il ritorno al Vecchio non riguarda solo la politica italiana.
Perché anche la novità più dirompente di questo tempo, l’elezione di Donald
Trump alla Casa Bianca, «non è tanto sisma quanto sismografo dei mutamenti
sociopolitici in corso. I quali, almeno in America e in Occidente, si profilano
come tecnicamente reazionari», si legge nell’editoriale dell’ultimo numero di
“Limes” (11/2016). Una reazione contro la globalizzazione che «negli anni
Novanta era asso pigliatutto, misura di tutte le cose». Oggi invece si
indeboliscono i flussi finanziari, i traffici internazionali, gli investimenti
esteri. Tornano gli interessi nazionali: come prima, più di prima.
In Italia il fenomeno significa la chiusura di una lunga stagione che ha
preceduto il Pd renziano, il Movimento 5 Stelle, e anche il berlusconismo.
L’ideologia del Nuovo (le nuove istituzioni, i nuovi partiti, le nuove
leadership, i nuovi comportamenti politici) ha modellato tutte le identità
politiche degli ultimi decenni: la sinistra, la destra, il centro. Nuova la
Grande Riforma istituzionale lanciata nel dibattito da Bettino Craxi con un
articolo sul quotidiano del Psi “L’Avanti” intitolato “Ottava legislatura” il 28
settembre 1979: «Una legislatura già nata sotto cattivi auspici vivrà con
successo se diventerà la legislatura di una grande Riforma che abbracci l’ambito
istituzionale, amministrativo, economico-sociale e morale». Parole riprese in
modo letterale da Renzi durante la presentazione del suo governo al Senato il 24
febbraio 2014: «Propongo a questo Senato di essere la legislatura della Svolta».
Nel frattempo però le legislature erano diventate diciassette.
Il Nuovo è stato il mito fondativo delle leadership degli ultimi decenni.
Ciriaco De Mita, combattivo, orgoglioso (e alla fine vincente) sostenitore della
conservazione della Carta con Renzi nello studio tv di Enrico Mentana, spiegò
l’11 aprile 1983 in un colloquio con Eugenio Scalfari su “Repubblica” la novità
della Democrazia cristiana da lui guidata: «Destra e sinistra sono schemi
mistificanti. Non ci si distingue più in quel modo. La vera dialettica è tra
vecchio e nuovo». (Intervista lungimirante, perché De Mita consegnava a Scalfari
un suo tormento: «Temo il rifiuto della politica per colpa dei politici. Badi,
il qualunquismo di trent’anni fa riguardava gruppi sociali culturalmente
impreparati, ma oggi il rifiuto della politica è un campanello d’allarme molto
più preoccupante perché proviene da gruppi sociali avvertiti, culturalmente e
professionalmente qualificati». L’anti-politica sembrava lontana, Beppe Grillo
faceva il comico. E commentò negli studi Rai qualche settimana dopo il tracollo
elettorale della Dc di De Mita, due milioni di voti persi, in un’atmosfera da
lutto televisivo nazionale: «Calma, ci sono gli ultimi seggi di Lourdes e
Fatima, chissà, un miracolino...»).
Nuova fu la Svolta di Achille Occhetto, la Cosa post-comunista, nata dopo il
crollo del muro di Berlino nel 1989. «Un nuovo inizio che ha in sé il meglio
della nostra tradizione», la definì con un capolavoro di illusionismo verbale
(il nuovo è il meglio del vecchio) il leader di fronte al Comitato centrale del
Pci inferocito per aver appreso del cambio del nome e del simbolo senza una
discussione. Al successivo congresso di Bologna, nel 1990, Occhetto volò ancora
più in alto, citando l’Ulisse di Alfred Tennyson: «Venite amici/ che non è mai
troppo tardi per scoprire un nuovo mondo./Io vi propongo di andare più in là
dell’orizzonte conosciuto...». Oltrista, fu definita la creatura di Occhetto, la
Quercia che per fare il partito nuovo si apriva alla società civile e si batteva
per la riforma del sistema politico, il triangolo magico del rinnovamento a
sinistra negli anni Novanta e Duemila, dall’Ulivo fino al Pd. Svoltista, anzi,
nuovista, neologismo inventato dal “Manifesto” e fatto proprio dai nemici del
leader. «Sei tecnicamente obsoleto», gli dirà Massimo D’Alema al momento di
spodestarlo dalla segreteria nel 1994, ma il discorso con cui il lider Maximo
lancia la sua candidatura alla segreteria è una requisitoria contro «il nuovismo
esteriore di chi sostiene che è finita l’epoca dei partiti politici e che essi
hanno un senso soltanto come partito del leader». Notazione destinata a una
certa fortuna. E anche D’Alema userà la categoria del Nuovo quando toccherà a
lui la conquista del potere: «la nuova Italia per la nuova Roma», fanno scrivere
sotto la sua foto da candidato al consiglio comunale di Roma nel 1997 gli spin
Claudio Velardi e Fabrizio Rondolino (nella battaglia referendaria del 2016
iper-renziani). E la riforma costituzionale della Bicamerale da lui presieduta
è, inutile dirlo, la «Grande occasione». Perduta.
Nuovo è, e figuriamoci, il Cavaliere dell’eterno presente che dal 1994 scende in
campo in politica, lui il nuovo che avanza preconizzato da Michele Serra. Il mix
perfetto dell’impresario: serialità e novità, essere sempre uguali e sempre
nuovi, ricominciare sempre da zero, il berlusconismo non ha mai un passato,
declina i tempi al futuro, è un eterno presente, è il colpo di lifting
permanente che restituisce come nuovo il leader al suo popolo. E nuovi,
nuovissimi gli ultimi arrivati, il grillismo che vuole aprire il Parlamento come
una scatoletta di tonno, il renzismo della rottamazione dove tutto è inedito,
mai visto, mai udito, «siamo quelli che non c’eravamo prima», ripete il sindaco
di Firenze al momento della scalata al potere nazionale. L’anagrafe come
garanzia di novità e di purezza. Conclusa nel rovescio del 4 dicembre.
Nessun Paese ha consumato tante leadership nuove, e in così poco tempo, come
l’Italia. Esaurita l’analisi del voto referendario bisognerà pur chiedersi se
dopo tanto discorrere, ci sia qualcosa di più profondo nella vittoria massiccia
del No. La diffidenza, se non il rifiuto, verso la parola Riforma, che negli
anni Settanta e Ottanta significava miglioramento delle condizioni di vita e
oggi per molti si è capovolta in un annuncio di peggioramento: meno diritti, più
precarietà. E la bocciatura del Nuovo e dei novatori, all’interno di una
situazione troppo grande per loro. «Negli ultimi decenni abbiamo assistito a un
rovesciamento semantico per cui con rivoluzione si intende in realtà il suo
contrario, la distruzione di ogni progetto, di ogni sviluppo coerente di visione
del futuro. Una specie di anti-rivoluzione o rovesciamento del pensiero
rivoluzionario concepito come passaggio da 2.0 a 2.1...», ha scritto lo storico
Paolo Prodi appena scomparso in uno dei suoi ultimi libri, “Il tramonto della
rivoluzione”. È il nuovo senza progetto che consuma se stesso e provoca le cause
della sua dissoluzione.
Tornerà nel 2017, forse, la legge elettorale proporzionale. E i governi di
coalizione. E il manuale Cencelli per fare le nomine (ammesso che sia mai caduto
in disuso). E i ministri senza portafoglio. E i vertici notturni. E le verifiche
programmatiche. E i caminetti dei capicorrente, che possono lasciarsi battere
venti volte e sempre rientrare, come monarchi decaduti. Tutto questo, però, non
basterà a restituire all’Italia la felicità perduta. E di tutto questo, almeno
in parte, porta la responsabilità il nuovo avanzato, che non avanza più.
L'opinione di Hominibus
E' evidente che la strategia migliore per risolvere
questo vivere insieme consiste nel ridurne l'apparente
complessità adottando modelli che impediscano gli esercizi
fantastici di potere perché tutto sia semplice, già predefinito, non
lasciando adito ad aspirazioni private o di gruppo, smontando il mito
e funzione del ceto politico, vera causa, innanzitutto, di disordine morale
per la innata incapacità di liberare l'animo da ansia di arricchimento, da inibire
con la rivoluzione del sistema fiscale che imponga la giusta partecipazione della
ricchezza patrimoniale alle spese comuni indivisibili, esimendo, in cambio, la ricchezza
finanziaria dalla arrogante presunzione di poterne controllare correttamente la circolazione!
IL MANIFESTO CONTRO L'ACCOZZAGLIA POLITICA:
Hominibus desidera far riflettere il Lettore sulla situazione che
sta sotto gli occhi di tutti, in cui posti di grande responsabilità
sono ricoperti da personalità che non hanno la necessaria
preparazione, sensibilità, cultura per decidere il destino
nel rispetto di Tutti e, quindi, urge correre ai ripari
prima che possa accadere l'irreparabile,
oggi molto più probabile di ieri con
i soliti politici al comando!
"Non si può risolvere un problema con
lo stesso modo di pensare
che lo ha creato !"
(Einstein)
E' necessario cambiare radicalmente metodo, come è indicato in
(in costruzione, attendendo l'occasione delle prossime elezioni)
Hominibus propone cose giuste, facili da fare,
sicuramente in nome di una idea onesta
per una società del 3° Millennio.
Traduciamola in realtà!
L'ITALIA,
La prima Nazione nel Mondo
con il sistema fiscale patrimoniale,
anzi, condominiale, e la libera circolazione
della ricchezza finanziaria, grande risorsa sociale!
Insomma, stare insieme, ma da pari, in un grande...
STATO CONDOMINIALE
con un Parlamento Popolare
per consentire finalmente la partecipazione diretta di tutti i Cittadini,
che avranno ruolo attivo, anche amministrativo, all'insegna del binomio ...
MERCATO & FISCO PATRIMONIALE
in Italia entro il
Roma, 9 Gennaio 2017
Hominibus
Movimento di opinione per la costruzione di una società onesta,
che riconosca finalmente i diritti della maggioranza delle popolazioni mondiali,
vessate da politiche vergognosamente favorevoli alle classi benestanti, sempre peggio rappresentate.