Lettera al Presidente della Repubblica GIORGIO NAPOLITANO

 

Oggetto: 1946: Il voto alle Donne. 2006: Avvio del processo per una seria revisione fiscale?

 “Nulla è più necessario, ora, che un clima di operosità e di responsabile collaborazione,

nel libero confronto delle idee e delle posizioni politiche.

Corrispondere a questa necessità sarà l'impegno della mia Presidenza

 

Nell’augurarLe un felice periodo di proficuo lavoro alla Presidenza della Repubblica Italiana, vogliamo sperare che si possa comprendere nella Sua promessa di favorire il libero confronto, nei luoghi e nelle occasioni che contano, sulla equità del sistema fiscale vigente, per il quale si impone una seria analisi delle modalità del prelievo tramite imposte, come Ici, Ire, Iva, Monopoli, Accise, Lotterie, essendo queste, a nostro avviso,  la causa principale dei gravi squilibri e disagi di cui soffre la nostra società.

 

                        Abbiamo rivolto questa nostra richiesta al Suo predecessore, ma, purtroppo, ne abbiamo ricevuto solo una formale comunicazione della assenza di strumenti a disposizione del Presidente della Repubblica per incidere nella formazione delle leggi finanziarie, malgrado i poteri riconosciutigli dall’art.74 della Costituzione per poter imporre al legislatore un approfondimento di riflessione in sede parlamentare.

 

                        Abbiamo ripetuto questa nostra richiesta ad eminenti esponenti politici della precedente legislatura, alle segreterie dei partiti, a centri studi qualificati, a docenti universitari, alle associazioni di industriali, commercianti, lavoratori, consumatori, alle direzioni di giornali, radio, televisioni, perfino alla Cei che ricava un consistente obolo dal gettito fiscale, ma la risposta non c’è stata o è stata evasiva oppure, dai più reattivi alla nostra sollecitazione abbiamo ricevuto questo monito, :

 

“Si fa così perché si è fatto sempre così, …e BASTA! “

 

                        Così, finora, ne abbiamo potuto ricavare solo la netta sensazione che tutte le personalità interpellate, in vario modo e misura influenti nella impostazione e mantenimento dei criteri della amministrazione o educazione o informazione pubbliche, quasi tutti appartenenti al ceto medio-alto, facciano quadrato a difesa di un regime fiscale a loro favorevole e denuncino di conseguenza notevole imbarazzo a rischiare il libero dibattito, preferendo spostare l’accento sull’articolazione più o meno intelligente della spesa per evitare così l’arduo compito di cimentarsi nel dare una seria giustificazione al groviglio delle varie forme di fiscalità, tutte in evidente divergenza e  violazione del criterio della effettiva capacità contributiva indicata dall’art. 53 della Costituzione, ma in strenua e manifesta difesa del patrimonio comunque accumulato.

 

                        Partendo dalla convinzione che si debba accettare l‘apparente forzatura di considerare lo Stato alla stregua di un enorme condominio,  in cui l’assistenza alle fasce più deboli della popolazione debba essere inclusa tra gli oneri indivisibili, come la giustizia, la sanità, l’istruzione, la sicurezza, l’ordine, la pace sociale, ecc., ed intesa come un impegno che non può stravolgere le regole della ripartizione delle spese comuni, giustificando addirittura l’alleviamento del carico fiscale sui contribuenti benestanti, affermiamo che sia ineludibile l’obbligo per ogni cittadino di concorrere alle spese indivisibili almeno in proporzione, se non in progressione, della propria ricchezza reale, mobile ed immobile, posseduta, rinunciando definitivamente allo scudo del reddito, ormai chiaramente riconoscibile come falso scopo dell’azione fiscale.

 

Nella definizione della capacità contributiva si potrebbero includere i redditi e le rendite, ma bisognerebbe provvedere a ridurne la difficoltà di rilevazione e a definirne la giusta correlazione ed equiparazione con il patrimonio, considerandoli, al netto delle spese di produzione, come incrementi patrimoniali e, quindi, accorpabili in un unico imponibile (patrimoniale).

 

Noi di HOMINIBUS non possediamo particolari qualità morali o intellettuali o esperienze nella conduzione di grandi organismi o seguito popolare per arrogarci il ruolo di censori, ma siamo delusi dai risultati conseguiti da legislatori e governanti che hanno sempre vantato simile corredo di referenze; inoltre, aiutati dal nostro speciale status di assenza di particolari interessi personali dal punto di vista del reddito o del patrimonio, siamo certi di poter sostenere con l’indispensabile equilibrio la necessità di una drastica modifica della pubblica amministrazione con l’adozione di una serie di provvedimenti, sicuramente osteggiati dai beneficiari dell’attuale assetto ma di innegabile efficacia e vantaggio per quella grande parte di popolazione abituata da secoli ad accettare passivamente regimi fiscali classisti.

 

Ecco i nostri suggerimenti per concretizzare la fondamentale sinergia tra fisco e mercato, tra interesse pubblico e privato, e per far compiere un passo storico a questa zoppicante democrazia:

 

1.      La sottrazione alla competenza del Parlamento del compito di reperire i mezzi di finanziamento della spesa pubblica, trasferendone l’incarico ad un Ente estraneo alla politica, rispettoso degli elementari criteri contabili, che impieghi metodologie simili a quelle usate con grande equilibrio dagli amministratori di condomini, consorzi, comunità per la gestione di servizi indivisibili;

2.       L’accesso del pubblico ai registri relativi ai beni mobili ed immobili fiscalmente imponibili (cespiti fiscali), conservandone la segretezza della titolarità di possesso, per permettere il reciproco controllo da parte dei cittadini degli elementi su cui si fonda la corretta ripartizione del carico fiscale, fondamentale per realizzare una naturale combinazione dell’interesse pubblico e privato;

3.       La istituzione della Borsa dei cespiti fiscali (BCF), sotto il cui controllo debbono essere eseguite tutte le operazioni relative ai cespiti fiscali;

4.       La obbligatorietà della offerta pubblica per la vendita dei cespiti fiscali, da espletare al migliore offerente, riconoscendo, a parità di prezzo, gli eventuali diritti di prelazione;   

5.       La autorizzazione dell’offerta pubblica per l’acquisto dei cespiti fiscali che risultino sottovalutati per il fisco, con i dovuti accorgimenti per controllarne la frequenza che non dovrebbe essere inferiore ad un periodo congruo, p.e. 5 anni,, o cautele particolari ove si tratti di cespiti sensibili, come le prime case di abitazione;

6.       L’applicazione dei soli diritti di registro per i trasferimenti a qualsiasi titolo dei cespiti fiscali;

7.       La modifica dell’imposizione fiscale sulle imprese in base alla quotazione di borsa, se quotate, o al valore commerciale degli immobili, impianti, attrezzature, scorte, brevetti e concessioni in uso;

8.       La completa esenzione e libera circolazione della ricchezza finanziaria, come depositi, capitali, titoli, azioni, obbligazioni, partecipazioni, per rendere più economico l’esercizio del credito al consumo ed alle imprese;

9.       Il rigoroso controllo dei movimenti di capitale da e per l’estero, favorendone l’importazione ed assoggettandone a congrua imposta solo l’esportazione.

 

In tal caso si otterrebbero indubbiamente i seguenti vantaggi:

 

A.      La eliminazione del riferimento al reddito, elemento filosofico e causa principale della incertezza ed ingiustizia nell’azione fiscale, sostituito dal riferimento più concreto e solido del patrimonio mobile ed immobile, in costante allineamento al suo valore di mercato;

B.      La soppressione della dichiarazione fiscale da parte del cittadino;

C.      Il definitivo azzeramento dei fenomeni di evasione ed elusione, ormai difficili da praticare;

D.      Il calcolo statistico ed automatico del carico fiscale per ogni contribuente in base ai cespiti risultanti nella sua disponibilità alla fine di ogni esercizio fiscale;

E.      La semplificazione delle manovre di copertura e ripartizione della spesa indivisibile, dovendo operare solo su un’unica aliquota da applicare su un unico imponibile, quello costituito dalla ricchezza reale di ogni contribuente, che verrebbe codificata univocamente in miliardesimi, grani o carati in rapporto all’ammontare complessivo della ricchezza nazionale imponibile;

F.      La limitazione dell’arbitrio politico, in ambito fiscale, solo ad atti che definiscono il livello minimo di benessere da assicurare ai cittadini più poveri o mirati ad incentivare determinati settori definiti di interesse pubblico, nel quadro, però, immutabile delle regole del prelievo fiscale, che renda improponibili definitivamente misure in piena libertà come aumento dell’Iva o la modifica del regime fiscale delle donazioni o delle successioni o delle accise o delle aliquote sul reddito;

G.     La estrema razionalizzazione ed economicità della amministrazione fiscale, finalmente liberata dalla difficile interpretazione di bilanci e dichiarazioni, resa più sicura nella sua azione di recupero delle imposte eluse, evase o non pagate, potendo rivalersi su elementi patrimoniali concreti;

H.      L’aspettativa plausibile di una diminuita richiesta di assistenza alle classi più disagiate, che si realizzerebbe in conseguenza del minore costo della vita per l’assenza di Iva, Ire, Monopoli, Accise, imposte che sarebbero sostituite da incrementi di prezzi al consumo non più in misura fissa ma secondo le regole di mercato, e cioè concorrenza, competitività e produttività.

I.         La moralizzazione dell’esercizio della ricchezza, a cui si imporrebbe di abbandonare le attuali facili forme di speculazione immobiliare e di spostare l’attenzione verso gli impieghi produttivi, assumendo così un ruolo socialmente più utile;

J.       Il superamento del fenomeno dell’economia sommersa, in quanto il fisco controllerebbe gli elementi fisici risultanti ‘alla luce del sole’, adibiti o no alla produzione, al valore di mercato, e non la redditività del loro impiego, così come per un appartamento o un terreno prenderebbe in considerazione il loro valore commerciale, che ingloba l’effettiva o potenziale redditività;

K.      L’attenuazione del fenomeno del lavoro ‘in nero’, se, augurandoci che il reddito da lavoro possa essere un giorno liberato anche da ‘cunei’ contributivi, si potesse giungere al riconoscimento della maturità del lavoratore, fino a giudicarlo finalmente responsabile da sapere valutare autonomamente l’equa contropartita al lavoro prestato, in presenza di norme che, comunque, ne difendano, su richiesta dell’interessato, la remunerazione minima, e di sapere provvedere alle forme di previdenza più idonee allo suo stato economico presente e futuro, riducendo l’intervento dell’egoistico paternalismo politico.

 

Ritornando al nocciolo del problema, noi chiediamo il riconoscimento di un sacrosanto diritto oggettivo, che non dovrebbe presupporre neppure il consenso politico né l’alto riferimento alla Costituzione, essendo basato sulla richiesta legittima della corretta applicazione di una regola contabile nell’uso e consuetudine generale per la ripartizione delle spese comuni, la cui violazione in un rapporto privato porterebbe i responsabili in tribunale, mentre nella amministrazione pubblica, essendo il Parlamento  blindato dalla Costituzione, essa viene sminuita portando a difesa la complessità della gestione, resa tale forse a proposito proprio dai legislatori, di ceto medio-alto da sempre, mentre, come noi abbiamo sopra illustrato, la gestione fiscale potrebbe essere non solo semplificata, ma resa anche giusta ed  efficiente !

 

In conclusione, ove le nostre argomentazioni siano consistenti, noi chiediamo a Lei il patrocinio per una seria verifica della correttezza del sistema fiscale ed una conseguente campagna di informazione e formazione della pubblica opinione, affinché sia finalmente chiaro che, spostando l’obiettivo del fisco dal reddito al patrimonio, si vuole, con una più equa ripartizione, spostare il carico fiscale dai ceti più deboli, che sono la maggioranza della popolazione, verso quelli più forti, prepotente minoranza, e far cessare una consuetudine secolare ormai inaccettabile in una democrazia che vuole definirsi ‘avanzata’.

In caso contrario, vorremmo almeno poter ricevere una risposta ragionevole e convincente, che dissolva il disagio di chi la pensa come noi.

 

Roma, 9 giugno 2006

 

La nostra convinzione:

"Solo un sistema fiscale basato sulla tassazione della ricchezza reale

può rendere morale ed equamente impegnativo il suo esercizio

e costituire il vero fondamento di una società moderna e pacificata

in cui

il povero accetta con maggiore serenità il suo stato,

perché sa che vivere da ricco comporta una grande sollecitudine

ed il ricco non ha paura di impoverire,

perché sa che potrà apprezzare il piacere del vivere semplice ed il valore delle piccole cose!"

 

Il nostro punto di vista:

Il governo precedente ha portato a vanto della sua gestione che…

“Oltre 10 milioni di cittadini non pagano più le tasse”,

e noi pensiamo che, se avesse potuto insistere nella sua politica, avrebbe potuto vantare che …

“Oltre 20/30 milioni di cittadini non avrebbero più pagato le tasse”

perché definitivamente ridotti in miseria!